TREU: È SALTATO PATTO GENERAZIONALE, PER GIOVANI FUTURO INCERTO.

 

“Il Paese è in condizioni migliori rispetto al dicembre 2020, le debolezze del nostro mercato del lavoro, accentuate dalla pandemia risultano in parte superate.

Tutti i dati, anche qui presentati, mostrano segnali di una ripresa economica consistente, anzi superiore alle aspettative e alle medie europee, resta tuttavia molta strada da fare per recuperare i posti di lavoro perduti soprattutto da donne e giovani ma sono certo che i comparti della ‘green’ e ‘white’ economy spalancheranno le porte a nuove professionalità, incentivando l’occupazione e rivitalizzando l’economia.

Le professionalità necessarie per la transizione ecologica, le professioni sociali e sanitarie, i servizi alla persona e di educazione conosceranno un exploit e il  Piano di Ripresa e resilienza,  genererà occasioni di acquisizione di nuove competenze anche nei settori dell’agricoltura (brown jobs) e delle professioni digitali (orange jobs)”.

Lo ha affermato il presidente del CNEL, Tiziano Treu, introducendo il XXIII Rapporto sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva 2021 del CNEL, presentato oggi nel corso di un’Assemblea straordinaria del Parlamentino di Villa Lubin, alla presenza del segretario generale Mauro Nori, del Ministro del lavoro e delle politiche sociali Andrea Orlando; del Director for Employment, Labour and Social affairs, OCSE Stefano Scarpetta; dell’Head of Unit ad interim for Social policies Eurofund, Massimiliano Mascherini, e della consigliera CNEL e docente dell’Università di Roma Tre, Silvia Ciucciovino, che ha moderato il dibattito con le organizzazioni rappresentate al CNEL.

Il Rapporto sul mercato del lavoro si apre con un’analisi dello scenario e dell’impatto dell’emergenza sanitaria da Covid-19. Il capitolo 2 è dedicato alle prospettive di nuova stagione per le politiche attive del lavoro tra azioni dell’Unione Europea e riforme nazionali. Nel capitolo 3 focus sul lavoro delle nuove generazioni e nel 4 sulla formazione. Il capitolo 5 è una delle grandi novità della nuova edizione del Rapporto che da spazio al lavoro libero professionale. L’altro contenuto innovativo è il capitolo 12 in cui per la prima volta in Italia si sviluppa un’analisi sul lavoro delle persone private della libertà personale.

“Non dobbiamo attendere la fine dell’emergenza per affrontare il tema della precarietà o ci saranno corollari previdenziali e sociali che rischiano di essere irrecuperabili” ha affermato il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Andrea Orlando, poi sulla situazione dei contratti ha aggiunto: “la contrattazione va fatta funzionare altrimenti la strada è quella del salario minimo”.

Il documento del CNEL poi analizza l’impatto degli incentivi all’occupazione (capitolo 6), la proposta europea per “salari minimi adeguati” nella prospettiva dell’ordinamento italiano (7), la contrattazione decentrata ai tempi della pandemia da Covid 19 (8), le misure di sostegno al reddito nel 2021 fra emergenza Covid e ripresa economica (9) e il reddito di cittadinanza e reddito di emergenza (10). Il capitolo 11 è dedicato allo sviluppo della sanità integrativa e la risposta dei fondi sanitari alla pandemia da Sars-CoV2 mentre il 13, altra analisi innovativa, è sui green jobs, i lavori legati al Green Deal Europeo. Chiude il rapporto l’aggiornamento a dicembre 2021 dei numeri dell’Archivio nazionale dei contratti collettivi di lavoro.

“Le forme di lavoro precario, come il part-time involontario e i contratti a termine sono diffuse ed elevate. Qui i caratteri negativi non consistono solo nella quantità di lavori temporanei, ma nella loro spesso brevissima durata che impedisce ogni prospettiva di sviluppo, e per altro verso nelle ridotte possibilità di trasformarli in contratti a tempo indeterminato o nei tempi lunghi della possibile trasformazione. Questo è un segno drammatico della incertezza delle prospettive che pesa anche sulle imprese disponibili ad assumere. Per contrastare queste forme di precarietà possono essere solo parzialmente utili i vari tipi di incentivi alla stabilizzazione, anche più durevoli e mirati di molti disposti in passato”, ha aggiunto Treu.

Lo scenario

La crisi sanitaria ha colpito in modo asimmetrico settori e imprese, penalizzando particolarmente in una prima fase soprattutto i settori a prevalenza femminile, come il commercio. Tuttavia, nonostante le maggiori difficoltà in termini di conciliazione, soprattutto per le lavoratrici con figli piccoli nel periodo della didattica a distanza, il sistema degli ammortizzatori sociali, e la diffusione del lavoro da remoto sono riusciti a contenere le perdite occupazionali, per cui nel complesso i divari di genere in termini di livelli occupazionali sono rimasti relativamente stabili. Difficoltà maggiori per le madri che, a causa della chiusura delle scuole, sono dovute rimanere a casa ad accudire i figli, rinviando le decisioni di partecipazione al momento di superamento della pandemia e per i giovani. I più giovani hanno difatti registrato il calo occupazionale più marcato nelle prime fasi della crisi; tuttavia, proprio grazie alla veloce risalita del lavoro a termine verificatasi negli ultimi mesi, gli occupati più giovani hanno registrato nella prima parte dell’anno una dinamica molto positiva. Confrontando il secondo trimestre 2021 con il quarto trimestre del 2019, le persone con un titolo di studio universitario presentano l’evoluzione meno sfavorevole, (+60 mila, pari ad una crescita dell’1.1%). Gli effetti della crisi hanno colpito in misura maggiore i diplomati, tra i quali il numero di occupati è ancora inferiore dell’1.7% a quello del quarto trimestre 2019 (-184 mila), e soprattutto i lavoratori con al massimo la licenza media, per i quali i livelli occupazionali sono ancora inferiori di quasi 300 mila unità nel periodo considerato, pari ad una contrazione del 4.1%; in entrambi i casi, peraltro, la caduta di occupazione è stata accompagnata da un marcato aumento degli inattivi.

Una delle eredità che sembrano affermarsi dopo la crisi del Covid-19 è l’aumento del già ampio numero di lavoratori potenziali che hanno difficoltà a inserirsi nei circuiti produttivi, mentre al contempo le ampie oscillazioni dell’attività economica, e conseguentemente della domanda di lavoro, prodottesi a seguito della pandemia, hanno determinato problemi di scarsità di manodopera in diverse imprese che si sono ritrovate nella necessità di ampliare gli organici in tempi rapidi, eventualmente anche a seguito della riduzione attuata nei mesi precedenti.

I contratti

Il dato senza dubbio più eclatante che emerge dal Rapporto e che connota da anni l’evoluzione delle relazioni industriali nel nostro Paese è la continua crescita del numero di contratti collettivi di lavoro. Si tratta di un fenomeno che si registra senza sosta da almeno un decennio, e che è puntualmente documentato dall’attività di deposito in copia autentica presso l’archivio del CNEL. Studiare un fenomeno che appare patologico è rilevante dati il ruolo svolto dalla contrattazione collettiva di lavoro nel nostro Paese e la stretta integrazione fra disposizioni legislative e norme contrattuali nella disciplina dei diversi istituti.

A dicembre 2021 risultano depositati al CNEL 933 contratti collettivi nazionali di lavoro vigenti per i lavoratori del settore privato. Rispetto ai dati rilevati un anno fa, l’incremento appare vistoso: ben 77 CCNL, pari a un +9%. Vi sono settori più dinamici di altri; gli incrementi percentuali maggiori

si registrano nei settori contrattuali “chimici” (+38%), “lavoro domestico” (+22%), “istruzione, sanità, assistenza, cultura, enti” (+17,5%). L’unico settore contrattuale in cui il numero di contratti nell’anno in esame si è ridotto è “edilizia, legno, arredamento” (-6,6%).

Tale fenomeno è coerente con i sacrosanti principi di libertà sindacale, di autodeterminazione della categoria contrattuale e, più estesamente, di pluralismo associativo, costituendo la piena realizzazione di quanto disposto dall’articolo 39, comma 1, della Costituzione. Si pongono tuttavia problemi che non possono essere ignorati e che derivano proprio dall’elevato numero di fonti collettive deputate a regolare i rapporti di lavoro, che in linea teorica non sarebbe necessariamente negativo qualora generasse effetti concorrenziali virtuosi. Il guaio è che gli effetti concorrenziali

agiscono soprattutto al ribasso. La pluralità di fonti collettive e l’ampliamento dell’offerta di regole che disciplinano il rapporto di lavoro possono diventare il mercato dove “fare shopping” per ridurre il costo del lavoro.

Più di un terzo dei contratti depositati sono sottoscritti da organizzazioni non rappresentate al CNEL, anche se questi contratti risultano applicati a un numero davvero ridotto di lavoratori. 353 CCNL su 933 (pari al 38%) sono sottoscritti da firmatari datoriali e sindacali non rappresentati al CNEL, ma tali contratti risultano applicati a 33 mila lavoratori su oltre 12 milioni (si tratta di circa lo 0,3%).

I 128 contratti collettivi sottoscritti da soggetti datoriali e sindacali rappresentati al CNEL, pari al 14% dei CCNL vigenti, riguardano poco più di 10 milioni e 660 mila lavoratori, circa l’87% del totale dei lavoratori oggetto delle denunce. Si registrano, infine, 450 contratti sottoscritti da organizzazioni sindacali rappresentate al CNEL e da organizzazioni datoriali non rappresentate al CNEL (pari al 48% del totale).

Giovani

Al quadro demografico, che mette in evidenza come l’accentuata denatalità abbia drammatici effetti quantitativi sulle coorti di trentenni e ventenni, si associa la debolezza dei percorsi formativi, che pone l’Italia in cima alle classifiche europee per il maggior guadagno in termini di occupazione che deriverebbe da una migliore formazione e da un più efficiente utilizzo del capitale umano. Un gender gap fra i più elevati fra le economie mature, fra le più basse in Europa la quota di quindicenni in possesso di competenze considerate indispensabili per un solido percorso di vita nel XXI secolo, una delle più basse incidenze di laureati e una delle più elevate quote di cittadini fra i 18 e i 24 anni privi di titolo di scuola secondaria superiore (quest’ultimo dato fermo sui livelli del 2008). Il nostro rapporto richiama la necessità di rendere pienamente operativi questi strumenti, di rafforzare e aggiornare il programma garanzia giovani anche alla luce delle indicazioni europee, di far funzionare i nuovi strumenti di politica attiva predisposti dal PNRR e dalla legge di bilancio.

Aumento precari

Una delle eredità che sembrano affermarsi dopo la crisi del Covid-19 è l’aumento del già ampio numero di lavoratori potenziali che hanno difficoltà a inserirsi nei circuiti produttivi, mentre al contempo le ampie oscillazioni dell’attività economica, e conseguentemente della domanda di lavoro, prodottesi a seguito della pandemia, hanno determinato problemi di scarsità di manodopera in diverse imprese che si sono ritrovate nella necessità di ampliare gli organici in tempi rapidi, eventualmente anche a seguito della riduzione attuata nei mesi precedenti.

Il lavoro sarà sempre più green

Dall’analisi condotta per il Rapporto 2021 emerge che l’incidenza di lavoratori full green è concentrata in public utilities (30%) e nelle costruzioni, dato in linea anche in Italia con i risultati ottenuti dall’analisi sull’applicazione del concetto europeo di Environmental Economy (Commissione Europea, 2020d).  Altresì, le professioni hybrid green sono concentrate in edilizia (45%), nei servizi sociali privati (10.5%) e in manifattura (9.1%).

Lavoro e pena

In questi giorni decine di detenute e detenuti sono impegnati in laboratori dolciari e di cioccolateria in vista del Natale e delle festività. Sono solo alcune delle attività che vedono impegnato chi deve scontare una pena con contratti di lavoro veri e propri su cui, per la prima volta, il CNEK accende le luci. Superata la storica distinzione tra lavoro intramurario ed extramurario, il lavoro negli Istituti Penitenziari si distingue oggi in lavoro alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria e alle dipendenze di datori di lavoro esterni, per questi ultimi sia all’interno dell’istituto penitenziario che all’esterno. I detenuti che lavorano hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri dei lavoratori liberi. Percepiscono una remunerazione molto simile a quello dei lavoratori in stato di libertà (è pari ai 2/3 di quanto stabilito dai contratti collettivi nazionali di lavoro), hanno diritto alle ferie remunerate, alle assenze per malattia e il datore di lavoro paga per essi i contributi assistenziali (assicurazione sanitaria) e pensionistici. Dal 1° ottobre 2017 sono entrati in vigore gli adeguamenti ai 2/3 dei CCNL stabiliti dalla commissione prevista nella formulazione dell’art. 22 precedente alle modifiche del 2018, che hanno comportato, decorrendo dal 1994, un aumento delle retribuzioni di circa l’80%.

Su una popolazione carceraria di circa 54.000 detenuti, i  detenuti lavoranti alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria sono 15.827 unità, pari  al 30% dei presenti, impiegati in attività di tipo domestico relative alla gestione quotidiana dell’istituto (pulizie, facchinaggio, preparazione e distribuzione dei pasti, interventi di piccola manutenzione, ecc.), in attività di tipo industriale, presso laboratori e officine presenti all’interno degli istituti (falegnamerie, officine fabbri, sartorie, tessitorie, tipografie, ecc.) oppure in attività di tipo agricolo, presso le colonie agricole dell’amministrazione (per coloro che abbiano particolari requisiti) o presso tenimenti agricoli presenti in alcuni istituti. Assunti alle dipendenze di datori di lavoro esterni sono 2.130 detenuti, di cui 937 prestano la loro attività all’interno del carcere, i restanti lavorano all’esterno e rientrano la sera in carcere.

Formazione

Quella della formazione è una delle urgenze maggiori del mercato del lavoro. I bassi livelli di qualifiche dei lavoratori italiani, accompagnati dal persistere di popolazione in età da lavoro senza appropriati titoli di studio (LFS-Eurostat, 2020) evidenziano, infatti, come occorra investire molto in formazione, certamente durante tutto il percorso della vita di un individuo, ma con una attenzione particolare alla formazione continua, aspetto di cui gli attuali provvedimenti poco discutono. Se è infatti vero che le politiche attive del lavoro debbano integrarsi con quelle formative per facilitare l’ingresso al mondo del lavoro, solo una azione funzionale alla formazione periodica e ricorrente dei lavoratori può garantire un upskilling e un reskilling utili alla maggiore competitività delle PMI italiane. Un obiettivo prioritario è di fornire una formazione digitale di base alla maggioranza degli adulti (l’80% secondo l’Action plan europeo), essenziale per non subire un digital divide che inciderebbe ulteriormente sulle diseguaglianze e sulla esclusione delle persone più deboli. Si tratta di un impegno dì dimensioni pari alla alfabetizzazione della popolazione attuata in Italia con la scuola media unica. In parallelo la formazione continua nel corso della vita dovrà essere estesa alla maggioranza dei lavoratori (il 60% ogni anno secondo l’Action plan europeo) come condizione per aggiornare le loro competenze alla evoluzione tecnologica e organizzativa che investirà le imprese. Per raggiungere questi obiettivi non basta aumentare le risorse, come fa opportunamente il PNRR; è necessario adeguare le strutture della formazione, a cominciare dalla loro organizzazione ancora spesso ispirata a modelli fordisti, le modalità dell’apprendimento, nonché la preparazione e la cultura stessa dei docenti.

Scarica e leggi il Rapporto Mercato del Lavoro e contrattazione (versione provvisoria)