Avvocati monocommittenti: una proposta di legge per disciplinare il rapporto.

Per “monocommittenza” ci si riferisce ad un fenomeno molto diffuso nel mondo dell’avvocatura, vale a dire la situazione in cui si trova l’avvocato che svolge la propria prestazione professionale esclusivamente in favore di un committente, nella maggior parte dei casi lo studio legale presso il quale collabora e dove ha stabilito il domicilio professionale.

Secondo i dati elaborati dalla Cassa Forense, la monocommittenza riguarda oltre 30 mila professionisti, oltre il 15% degli iscritti alla Cassa di Previdenza.

La situazione di fatto dunque prevede che molti esercenti la professione di avvocato svolgano la propria attività in modo parasubordinato, senza alcuna tutela giuridica. Sovente i collaboratori sono tenuti al rispetto di un orario di lavoro e comunque delle direttive del committente, ottengono una retribuzione mensile forfettaria, ma restano privi delle garanzie che derivano dalla prestazione di lavoro subordinata.

In sostanza, i collaboratori degli studi professionali, grandi o piccoli, vivono una situazione di precarietà, non hanno prospettive di crescita professionale, né una congrua retribuzione o tutela previdenziale.

In merito tuttavia la legge professionale forense (Legge n. 247/2012) stabilisce il divieto di esercizio di lavoro con vincolo di subordinazione per gli esercenti la professione forense. Tale previsione mira a garantire la libertà, l’indipendenza e l’autonomia dell’avvocato.

Il 15 ottobre 2020 è stata presentata una proposta di legge avente ad oggetto la disciplina del rapporto di collaborazione professionale dell’avvocato in regime di monocommittenza. Il testo si rivolge unicamente al mondo forense.

Innanzitutto, viene chiarito che il rapporto di collaborazione avviene senza alcun carattere di subordinazione, rispettando così il disposto della legge professionale forense, che considera il lavoro subordinato incompatibile con il ruolo di avvocato: il contratto deve avere forma scritta, a pena di nullità e indicare specificamente la durata del rapporto.

Il compenso, congruo e proporzionato al lavoro svolto, va corrisposto preferibilmente con cadenza mensile. I parametri minimi del corrispettivo sarebbero fissati con un apposito decreto ministeriale. Gli oneri previdenziali vengono suddivisi nella misura di 1/3 in capo al committente e 2/3 in capo al collaboratore.

Secondo lo schema di legge, il committente e il collaboratore possono liberamente recedere dal contratto, dando congruo preavviso, con termini più ampi per il primo e ridotti per il secondo. La proposta prevede disposizioni specifiche in caso di gravidanza, adozione e infortunio.

Il committente rimarrebbe comunque tutelato dalle disposizioni che precludono al collaboratore di svolgere attività in conflitto di interessi, che gli impongono l’obbligo di riservatezza e che prevedono anche il patto di non concorrenza.