La sfida dell’innovazione per l’Europa del futuro[1]
Maurizio Mensi [2]
1. L’innovazione è un processo basato sull’interazione e la cooperazione tra diversi attori, pubblici e privati (centri di ricerca, università; aziende, organizzazioni e agenzie governative). Caratterizza un ecosistema fatto di conoscenze, competenze, capacità individuali e collettive alimentate dalla ricerca scientifica e dalle sue applicazioni. In quanto tale, concorre a definire il grado di sviluppo di un paese e incide sulla sua dimensione economica e sociale.
Alla base, la cultura dell’innovazione, che racchiude valori, norme e modelli di comportamento individuali e collettivi che stimolano tale processo. Comprende altresì spirito di iniziativa, pensiero creativo, versatilità, apertura e attitudine al cambiamento, capacità di reagire all’eventuale insuccesso e fiducia in sè stessi. Ad essi vanno aggiunti, quali elementi ulteriori, incentivi economici, un sistema educativo adeguato e un quadro regolamentare “future proof”.
Paesi come Israele hanno fatto dell’innovazione uno degli elementi qualificanti del proprio assetto economico e sociale, creando progressivamente un contesto favorevole alla ricerca teorica e applicata in grado di attrarre talenti e sviluppare e start-up, fattori abilitanti di competitività e benessere. In tal senso, la “politica dell’innovazione” è un concetto che abbraccia un’ampia gamma di strumenti e interventi ma soprattutto comporta l’adozione di un metodo scientifico che, come insegna la storia, ha favorito lo sviluppo di alcune aree del nostro continente, portandole a livello di welfare non più visti dalla Pax Augusta (la Gran Bretagna alla fine del ‘700, con l’avvento della rivoluzione industriale, fu il primo paese a recuperare i livelli di sviluppo economico e sociale già registrati agli albori dell’Impero Romano).
- La Commissione europea ha identificato per la prima volta negli anni ’60 l’innovazione come componente della politica di ricerca per rimediare al “paradosso europeo”, vale a dire una ridotta capacità di tradurre le scoperte scientifiche in successi industriali e commerciali. A partire dagli anni ’70, da tema legato allo sviluppo delle politica comunitaria in materia di ricerca si collega più strettamente alle politiche industriali e da processo lineare che traduce la conoscenza in prodotti diventa “modello di innovazione aperta”. Questo comprende sia le politiche chiave rivolte agli attori dell’ecosistema dell’innovazione (ricerca, politiche industriali e di formazione) sia gli strumenti che ne assicurano il successo (finanziamenti, tassazione agevolata, standard, diritti di proprietà intellettuale, ecc. .). Ne fanno parte integrante la politica regionale e di coesione insieme a quelle per il mercato unico e la concorrenza[3].
Nel 2000, l’adozione della Strategia di Lisbona fornisce un nuovo stimolo per la politica dell’innovazione dell’UE, con l’obiettivo di trasformare l’Europa tramite l’”economia della conoscenza”. A ciò si aggiunga che le azioni intraprese a sostegno dell’innovazione mirano a integrare le misure adottate dagli Stati membri e dalle regioni. Il principale problema è infatti quello della frammentazione legata ai differenti quadri normativi, anche in termini di governance e strumenti di intervento. E’ infatti agli Stati membri e alle regioni che sono affidate la maggior parte delle competenze in tema di politica dell’innovazione. In tal senso, occorre oggi un intervento di ridefinizione delle competenze ai vari livelli (UE, nazionale, regionale) per assicurare un migliore coordinamento. Ridurre il divario fra Stati e regioni anche nel sostegno offerto dalle politiche e dai fondi regionali UE è infatti essenziale per garantire che tutte le regioni dell’UE sviluppino il loro potenziale di innovazione e alcune di esse non risultino penalizzate.
- In tale contesto appare apprezzabile la nuova agenda europea per l’innovazione proposta dalla Commissione nel luglio 2022, con il suo duplice obiettivo di promuovere la competitività dell’Europa ed il benessere dei suoi cittadini colmando il persistente divario tra Stati membri e regioni, considerato (a ragione) pregiudizievole per la coesione sociale ed economica interna. Basti considerare che ad oggi le regioni che registrano i migliori risultati sono circa 10 volte più innovative di quelle meno efficienti e tale disdequilibrio ostacola un coerente e armonico sviluppo socio-economico a livello UE. Alquanto positiva in particolare la proposta di creare “valli regionali dell’innovazione” per rafforzare e collegare meglio gli attori dell’innovazione, anche nelle regioni in ritardo di sviluppo. Ciò potrebbe avvenire attirando e trattenendo i talenti in Europa tramite la formazione, assicurando un maggiore sostegno alle donne innovatrici e introducendo una nuova disciplina delle stock option per i dipendenti delle start-up. Significativa poi l’attenzione rivolta al ruolo delle donne e all’analisi dei dati relativi al genere e ai gruppi meno rappresentati. Promuovere l’occupazione delle donne nel settore dell’innovazione è infatti fondamentale per la competitività europea. Importante poi la proposta di dare la precedenza ai progetti di innovazione a livello interregionale legati alle principali priorità dell’UE (come la sostenibilità), con la partecipazione congiunta delle regioni meno e più innovative. Solo insieme si vince.
[1] Versione italiana dell’articolo pubblicato su TERRITORIALL, the ESPON magazine, Regional Innovation, Issue 8, dicembre 2022, pag. 16.
[2] Membro del Comitato economico e sociale europeo in rappresentanza di CIU-Unionquadri, relatore del parere INT/996, “Una nuova agenda europea per l’innovazione”
[3] Si veda in proposito l’ampia disamina in “A new European innovation agenda”, EPRS (European Parliamentary Research Service), C. Evroux, settembre 2022.