METRODIGITAL.

METRODIGITAL: il sostegno al processo di digitalizzazione dei Comuni 
Incontro, organizzato dalla Città metropolitana di Torino in collaborazione con Fondazione Piemonte Innova, con lo scopo di indagare le esigenze specifiche dei Comuni in tema di digitalizzazione di processi e servizi, per misurare il livello di maturità digitale del territorio e stabilire le priorità di intervento. in programma 2 sessioni nelle giornate del 25 e 30 novembre.
Informazioni e iscrizioni nella Locandina

Smart working nel settore pubblico. Avanti, ma con giudizio.

Di Alessandro Alongi –

Smart working nel settore pubblico. Avanti, ma con giudizio

Il cantiere per la resa strutturale dello smart nel pubblico è ufficialmente aperto. Nella Pubblica amministrazione però sarà importante tenere conto delle riflessioni sui rischi di tale approccio già sperimentate nel privato. Avanti, quindi, ma sempre con giudizio. L’intervento di Alessandro Alongi

L’intervento del ministro alla Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo ha riacceso il dibattito sulla possibilità di rilancio dello smart working anche nel settore pubblico. Lontano dall’agenda dell’ex ministro Renato Brunetta, dunque, il lavoro agile potrebbe tornare protagonista, ma con un salto di paradigma: secondo il ministro, infatti, è necessario transitare da una logica impostata sul “controllo” del lavoratore a quella della verifica del risultato.

Nato come semplice strumento di diversificazione logistica della prestazione lavorativa, in breve tempo il lavoro agile si è colorato di tinte nuove, uscendo dal suo alveo tradizionalmente privato e abbracciando ampi settori del pubblico impiego, imponendosi all’attualità grazie a una legislazione di emergenza che ne ha favorito l’applicazione anche in deroga alle originarie previsioni normative.

Sul punto, già lo scorso anno, si era pronunciata a favore anche la Ciu-Unionquadri – la più grande associazione di categoria che rappresenta il middle management, i quadri e le professioni intellettuali, presente al Cnel e al Cese di Bruxelles e che, adesso, esprime soddisfazione sul possibile nuovo corso intrapreso: “Plaudiamo alle riflessioni del ministro Zangrillo sul futuro del lavoro agile nella Pa; a due anni ormai dall’applicazione massiva di questo strumento nel mondo privato, il bilancio che emerge è un mosaico composito dove, accanto a indubbi benefici in termini di liberazione di energie in favore dell’economia con un superamento della tradizionale contrapposizione tra famiglia, vita privata e lavoro, affiorano delle zone d’ombra che, se non curate, potrebbero causare serie conseguenze in termini di conflitti”, ha dichiarato Gabriella Àncora, presidente di Ciu-Unionquadri,. “Riteniamo, in linea con il pensiero del ministro, che i tempi siano maturi per avviare un percorso finalizzato ad introdurre una maggiore libertà di organizzazione e di impostazione del lavoro anche nel contesto pubblico, con un’attenta verifica dei risultati, fattore che potrà giovare a tutte le professionalità dei diversi enti”.

Anche per Zangrillo tornare indietro sarebbe anacronistico e poco giustificabile. “Con la pandemia il numero dei lavoratori italiani che sono andati in smart working – ha sottolineato il ministro a Radio 24 – sono passati da 500mila a 5 milioni. Questo significa che questo strumento può funzionare e pensare che si possa rinunciarvi significherebbe confermare che la Pubblica amministrazione è diversa dalle altre organizzazioni”.

“Ciò però non dovrebbe significare il tramonto definitivo del lavoro in ufficio, ma solo la necessità di ripensare al contesto, con tutto ciò che ne deriva”, ha ripreso la presidente Àncora: “Tutele sindacali, possibili discriminazioni salariali e di genere, sicurezza dell’ambiente di lavoro. Forte della sua esperienza, Ciu-Unionquadri si candida a guidare questa transizione professionale. Il lavoro da casa è qui per restare ma i diritti, l’impegno e la valorizzazione del middle management non può andare in soffitta”.

Il cantiere per la resa strutturale dello smart nel pubblico, dunque, è ufficialmente aperto. Ma anche nella Pa sarà importante tenere conto delle riflessioni sui rischi di tale approccio già sperimentate nel privato: possibile aumento delle disuguaglianze economiche e di genere, scarsa formazione, minaccia di “tecnostress”, preoccupazione per la riservatezza dei dati e dei possibili controlli del datore di lavoro. Avanti, quindi, ma sempre con giudizio.

LE NUOVE PROFESSIONI ALL’INTERNO DEL SISTEMA PRIVACY: DPO – DATA PROTECTION OFFICER LA NECESSITÀ DI UN INQUADRAMENTO NORMATIVO.

Pubblico impiego: la nuova area EP, “elevate professionalità”.

La presente trattazione riguarda la materia dell’inquadramento nell’ambito del pubblico impiego, laddove con il decreto legge 9.6.2021 n.80 si è cercato di rivalutare le professionalità medio-alte, troppo spesso schiacciate tra il ruolo preminente della dirigenza e quello generale delle altre categorie non dirigenziali.

Si è voluto inoltre valorizzare in funzione della professionalità acquisita la dinamica di progressione tra le diverse aree.

Si procederà quindi in sintesi ad un sommario esame della normativa citata (sub.1) e quindi della sua trasposizione nel contratto collettivo di comparto delle funzioni centrali (sub.2) per poi esaminare le prime indicazioni operative fornite dall’ARAN e ricavate dal bollettino periodico emesso dall’agenzia (sub.3).

  1. Sul piano normativo

Il decreto legge 9.6.2021 n.80 introduce alcune importanti modifiche all’articolo 52 del d.lgs. n.165/2001, che riguarda l’inquadramento del personale.

È quivi stabilito come i dipendenti pubblici, ad esclusione dei dirigenti e del personale della scuola, debbano essere inquadrati in almeno 3 distinte aree funzionali con l’aggiunta, come vedremo, di una quarta area per le elevate professionalità.

La novità è data proprio dal fatto che la norma stessa delega la contrattazione collettiva ad individuare un’ulteriore aerea per inquadrarvi il personale ad elevata qualificazione.

Si passa a regolamentare le modalità di progressione all’interno di ciascuna area delegando anche qui la contrattazione collettiva nei limiti imposti dalle capacità culturali e professionali e dall’esperienza maturata, seguendo dei principi di selettività che tengano conto anche dell’attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l’attribuzione di fasce di merito.

La legge passa quindi a disciplinare il passaggio tra aree di inquadramento.

È stabilita in primo luogo una riserva nell’accesso a ciascuna area nella misura del 50% a favore dei candidati esterni.

Precisato un tanto, stabilisce la norma di legge come le progressioni tra aree per i candidati esterni avvengano tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva del dipendente nell’ultimo triennio di servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli e competenze professionali ovvero di titoli di studio ulteriori rispetto a quelli necessari per l’accesso all’area dall’esterno e sul numero e la tipologia degli incarichi rivestiti.

Quindi, al fine di evitare, come spesso accade, un generale trascinamento verso l’alto, la norma stabilisce come la contrattazione collettiva a venire per il periodo 2020 – 2021 potrà effettuare nuovi inquadramenti per il tramite di tabelle di corrispondenza, ad esclusione dell’area per le elevate professionalità.

  1. Il CCNL 9 maggio 2022 funzioni centrali

Il CCNL 2021/2022 del Comparto Funzioni Centrali accoglie e traduce le disposizioni di legge che abbiamo appena esaminato.

Esso stabilisce in primo luogo l’inquadramento in quattro aree professionali per il personale non dirigente.

La titolazione delle aree è mutata nelle seguenti:

  1. Area degli operatori;
  2. Area degli assistenti;
  3. Area dei funzionari;
  4. Area delle elevate professionalità.

All’interno di ciascuna area sono individuate delle progressioni economiche atte a remunerare economicamente il maggior grado di competenza professionale.

Dette progressioni sono individuate in apposita tabella allegata al CCNL.

Precisa il contratto come l’attribuzione di differenziali stipendiali non comporti l’attribuzione di mansioni superiori e come comunque la stessa debba avvenire mediante procedura selettiva in relazione alle risorse disponibili presso il Fondo Risorse Decentrate.

Sono inoltre stabiliti i requisiti di partecipazione alla procedura selettiva, riservata ai lavoratori che negli ultimi 3 anni non abbiano beneficiato di alcuna progressione economica, termine che in ogni caso può essere ridotto a 2 anni o aumentato a 4 anni.

Ulteriore requisito è dato dall’assenza negli ultimi 2 anni di provvedimenti disciplinari superiori alla multa o al rimprovero scritto per le fattispecie contemplate nel codice disciplinare.

Per quanto riguarda la terza area, quella dei funzionari, le amministrazioni in base ai propri ordinamenti possono conferire a questi ultimi incarichi a termine di natura organizzativa o professionale che pur rientrando nell’ambito di inquadramento, richiedano lo svolgimento di compiti di maggiore responsabilità.

Su tale base è previsto il conferimento di una apposita indennità di posizione organizzativa.

E’ previsto inoltre che gli incarichi saranno conferiti dai dirigenti con atto scritto e motivato per un periodo non superiore ai 3 anni tenendosi conto dei requisiti culturali e delle capacità professionali dei dipendenti e delle caratteristiche dell’incarico affidato.

Per gravi mancanze è pure previsto che gli incarichi possano essere revocati.

Incarichi di natura specificamente rilevante sono invece conferiti ai dipendenti appartenenti all’area EP – Elevate Professionalità.

In questo caso, come avviene già per i dirigenti, gli incarichi debbono essere necessariamente conferiti agli appartenenti a quest’area. Anche in questo caso, l’incarico presuppone una valutazione delle capacità e delle esperienze dei soggetti.

La durata minima di questi incarichi è di un anno, la massima di tre anni. In ogni caso, essi possono essere rinnovati.

Questi incarichi possono essere revocati a seguito di performance negativa, ma anche in caso di necessità organizzative. A fronte dell’incarico è prevista una retribuzione di posizione e di risultato.

Quindi la contrattazione affronta il delicato tema concernente le norme di prima applicazione ed in particolare l’attribuzione delle nuove qualifiche EP.

È così stabilito un periodo dilatorio di 5 mesi dall’entrata in vigore del nuovo contratto anche per definire l’inquadramento del personale secondo le nuove norme.

Nella norma transitoria sono contenute diverse disposizioni anche per quanto attiene la progressione tra aree e la futura definizione delle cosiddette “famiglie professionali” da ricavarsi all’interno di ciascuna area.

  1. I quesiti all’ARAN

Le novità introdotte hanno determinato il sorgere di numerosi quesiti cui l’ARAN ha dato recente risposta e che di seguito si riportano.

Si può lasciare una EP senza incarico?

No, il contratto non prevede tale eventualità. L’incarico è infatti un elemento sostanziale e qualificante dell’appartenenza all’Area EP, analogamente a quanto avviene per la dirigenza. Pur non essendovi un diritto a coprire un incarico specifico (o a mantenere nel tempo, anche oltre la sua scadenza, l’incarico affidato inizialmente), vi è tuttavia il diritto a coprire uno degli incarichi previsti

dall’amministrazione, per le sue esigenze organizzative e di ottimale funzionamento.

L’incarico affidato ad una EP può essere rinnovato alla scadenza?

Non vi è una preclusione del contratto ad attribuire nuovamente lo stesso incarico, una volta che lo stresso sia giunto a scadenza, previa positiva valutazione da parte dell’amministrazione con le procedure previste dal sistema di valutazione.

Progressioni verticali

Durante la prima applicazione del nuovo ordinamento professionale (dal 1° novembre 2022 fino al 31 dicembre 2024), con quale disciplina si effettueranno le progressioni verticali? Con quella di cui all’art. 17 o con quella di cui all’art. 18, commi 6, 7 e 8 del CCNL 9 maggio 2022? Oppure con entrambe?

In base all’art. 18, comma 6, in fase di prima applicazione del nuovo ordinamento professionale e comunque entro il termine del 31 dicembre 2024, la progressione tra le aree, ad esclusione di quella verso l’area EP, ha luogo con le procedure disciplinate dai commi 6, 7 e 8 dell’art. 18. Si ritiene che tale formulazione escluda la possibilità di far coesistere entrambe le procedure (procedura transitoria ex art. 18 e procedura a regime ex art. 17). Resta, in ogni caso, ferma la possibilità di effettuare progressioni verticali verso EP anche durante il periodo di prima applicazione, ma applicando le regole ordinarie (art. 17 CCNL 9 maggio 2022 e art. 52, comma 1-bis, d.lgs. n. 165/2001). Si ricorda, in proposito, che la previsione contrattuale di cui al citato art. 17 è meramente ricognitiva di quanto previsto dalla legge (art. 52, comma 1-bis, come modificato dall’art. 3, comma 1 del d.l. n. 80/2021), vista la preclusione in materia del CCNL.

Quali sono le differenze e gli elementi comuni tra procedura a regime e procedura transitoria per le progressioni verticali?

Differenze

La prima differenza concerne i requisiti: nella procedura transitoria, i requisiti sono quelli della tabella 3 allegata al CCNL (titolo di studio + esperienza), che dà la possibilità di candidarsi anche a coloro che hanno un titolo di studio immediatamente inferiore a quello richiesto per l’accesso dall’esterno, ma sono in possesso di un numero maggiore di anni di esperienza; nella procedura a regime, i requisiti sono quelli previsti dall’art. 52, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165/2001.

La seconda differenza riguarda i criteri selettivi: nella procedura transitoria, i criteri sono quelli previsti dall’art. 18, comma 7 del CCNL 9 maggio 2022 (esperienza, titolo di studio e competenze professionali) e ciascuno di tali criteri deve pesare almeno il 25%; nella procedura a regime, i criteri sono quelli previsti dall’art. 17 del CCNL 9 maggio 2022 e dal nuovo art. 52, comma 1-bis del d. lgs.n. 165/2001 (valutazione positiva conseguita negli ultimi tre anni di servizio, titoli o competenze professionali, titoli di studio ulteriori rispetto a quelli richiesti per l’accesso dall’esterno, numero e tipologia degli incarichi rivestiti).

La terza differenza riguarda le relazioni sindacali: nella procedura transitoria, i criteri più specifici che declinano i criteri generali stabiliti dal contratto, nonché i pesi loro attribuiti, sono definiti dalle amministrazioni previo confronto con i sindacati; nella procedura a regime, non è previsto il previo confronto con i sindacati sui criteri.

La quarta differenza riguarda il finanziamento: le progressioni verticali effettuate con la procedura transitoria sono finanziate dalle risorse determinate ai sensi dell’art. 1 comma 612 della legge n. 234 del 30 dicembre 2021 (Legge di bilancio 2022) in misura non superiore allo 0,55% del monte salari dell’anno 2018 oltreché dalle facoltà assunzionali; quelle effettuate con la procedura a regime sono invece finanziate solo dalle facoltà assunzionali. Si ricorda che l’utilizzo delle facoltà assunzionali per le progressioni verticali, sia per le procedure a regime che per le procedure effettuate durante la fase transitoria, è possibile nella misura massima del 50% del fabbisogno. Le risorse di cui dell’art. 1 comma 612 della legge n. 234 del 30 dicembre 2021, in quanto risorse attribuite alla contrattazione collettiva il cui utilizzo è limitato alla sola fase transitoria di prima applicazione del nuovo sistema di classificazione ai sensi dell’art. 52, comma 1-bis, penultimo periodo, del d.lgs. n. 165/2001, possono invece essere destinate integralmente alle progressioni verticali.

Elementi comuni

In entrambi i casi:

 vi è una procedura che prevede: un bando, una istanza di ammissione alla procedura da parte del dipendente, un’ammissione alla procedura dopo la verifica dei requisiti, una fase istruttoria per l’attribuzione dei punteggi, un ordine di merito finale tra i candidati in base al quale sono individuati coloro che conseguono la progressione verticale;

 la progressione deve essere prevista nel piano dei fabbisogni (oggi confluito nel PIAO), con indicazione della famiglia professionale (e, ove possibile, delle posizioni di lavoro più specifiche nell’ambito della famiglia professionale) per la quale si manifesta il fabbisogno;

 occorre garantire che una percentuale almeno pari al 50% del personale reclutato con le ordinarie facoltà assunzionali sia destinata all’accesso dall’esterno, in base a quanto previsto dall’art. 52 comma 1-bis del d. lgs. n. 165/2001, in coerenza con i principi, anche di rango costituzionale, che regolano l’accesso alla PA.

Durante il periodo transitorio si possono effettuare progressioni verticali da funzionario ad EP?

Si, si possono effettuare, ma solo ricorrendo alla procedura ordinaria di cui all’art. 52 comma 1-bis del d. lgs. n. 165/2001 ed art. 17 del CCNL. Infatti, per le EP, la citata norma di legge non prevede una fase di prima applicazione del nuovo ordinamento professionale. Si ricorda altresì che le progressioni verso EP possono aver luogo solo dal 1° novembre 2022, data a partire dalla quale è applicabile il nuovo sistema di classificazione professionale, ivi compresa la nuova area EP.

 Come si valutano le competenze professionali in caso di progressione verticale effettuata durante il regime transitorio?

Per la valutazione delle competenze professionali in caso di progressione verticale effettuata durante il regime transitorio (dal 1° novembre 2022 al 31/12/2024) può essere preso in considerazione l’utilizzo, anche congiunto, di una delle seguenti tipologie di valutazione:

1) valutazione delle competenze espresse in ambito lavorativo basata sulle risultanze della valutazione di performance (anche su più anni);

2) valutazione effettuata attraverso metodi che facciano emergere le competenze, le capacità e lo stile comportamentale che le persone mettono in atto sul lavoro (ad esempio, tecniche di assessment).

3) valutazione dell’accrescimento delle competenze professionali effettuata al termine di percorsi formativi aperti a tutti i candidati alla progressione verticale;

4) valutazione riferita alle certificazioni di competenze possedute dagli interessati, rilasciate da soggetti esterni abilitati a certificare competenze (come avviene, ad esempio, per competenze informatiche o linguistiche).

Le procedure di progressione verticale sono uniche per area oppure vanno svolte procedure distinte per famiglie professionali o posizioni di lavoro?

Poiché le procedure di progressione verticale sono basate sull’accertamento del possesso delle competenze necessarie a svolgere attività di un’area superiore e poiché le competenze attese variano a seconda dei lavori, si è dell’avviso che la progressione verticale vada svolta almeno a livello di “famiglia professionale”.

Durante la prima applicazione del nuovo ordinamento professionale (dal 1° novembre 2022 fino al 31 dicembre 2024), con quale disciplina si effettueranno le progressioni verticali? Con quella di cui all’art. 17 o con quella di cui all’art. 18, commi 6, 7 e 8 del CCNL 9 maggio 2022? Oppure con entrambe?

In base all’art. 18, comma 6, in fase di prima applicazione del nuovo ordinamento professionale e comunque entro il termine del 31 dicembre 2024, la progressione tra le aree, ad esclusione di quella verso l’area EP, ha luogo con le procedure disciplinate dai commi 6, 7 e 8 dell’art. 18. Si ritiene che tale formulazione escluda la possibilità di far coesistere entrambe le procedure (procedura transitoria ex art. 18 e procedura a regime ex art. 17). Resta, in ogni caso, ferma la possibilità di effettuare progressioni verticali verso EP anche durante il periodo di prima applicazione, ma applicando le regole ordinarie (art. 17 CCNL 9 maggio 2022 e art. 52, comma 1-bis, d.lgs. n. 165/2001). Si ricorda, in proposito, che la previsione contrattuale di cui al citato art. 17 è meramente ricognitiva di quanto previsto dalla legge (art. 52, comma 1-bis, come modificato dall’art. 3, comma 1 del d.l. n. 80/2021), vista la preclusione in materia del CCNL.

Come si calcola il “consumo di facoltà assunzionali” per assumere dall’esterno personale di area EP?

Il consumo di facoltà assunzionali si calcola sulla base del valore retributivo deciso da ciascuna amministrazione all’interno del range di valori medi indicati dal comma 3 dell’art. 53 (50.000-70.000 euro annui lordi).

Il valore medio prescelto dall’amministrazione va indicato all’interno del piano dei fabbisogni (oggi confluito nel PIAO).

Se l’amministrazione decide un valore retributivo medio di 60.000 euro e l’assunzione di 5 EP il consumo di facoltà assunzionali sarà pari a 300.000 euro, cui deve aggiungere gli oneri riflessi a carico dell’amministrazione.

Qual è il consumo di facoltà assunzionali nel caso di progressione verticale dall’area dei Funzionari?

In tal caso, il consumo di facoltà assunzionali è dato dalla differenza tra valore retributivo medio di riferimento dell’EP (più oneri riflessi) deciso dall’amministrazione e retribuzione annua lorda (più oneri riflessi) del funzionario.

Nella retribuzione annua lorda del funzionario vanno incluse le seguenti voci: stipendio tabellare, tredicesima mensilità, eventuali IVC ed assegni ad personam.

Per finanziare l’assunzione di EP si possono utilizzare facoltà assunzionali derivanti dalla cessazione di dirigenti?

Si possono utilizzare facoltà assunzionali derivanti dalla cessazione di tutte le qualifiche e, quindi, anche dalla cessazione di dirigenti. In tal caso, la rimodulazione delle dotazioni organiche,conseguente alla previsione di nuovi posti di EP, potrà essere effettuata anche sopprimendo, in tutto o in parte, i posti dirigenziali che si sono resi vacanti a seguito delle cessazioni.

Una volta che l’amministrazione ha determinato il suo Budget per la retribuzione di posizione e di risultato delle EP (BudgetPOS_RIS(EP)) come si determina in concreto la retribuzione di posizione e di risultato di una EP? C’è un tetto massimo alla sua retribuzione?

Il contratto collettivo nazionale ha stabilito che il Budget sia ripartito in distinte quote:

– la quota destinata alle retribuzioni di posizione;

– la quota destinata alle retribuzioni di risultato;

– la quota destinata agli altri utilizzi consentiti (welfare aziendale e mobilità territoriale).

Come stabilito dall’art. 53 comma 5, la quota destinata alle retribuzioni di risultato deve essere almeno pari al 15% delle risorse complessivamente destinate a retribuzione di posizione e a retribuzione di risultato, cioè del BudgetPOS_RIS(EP). La percentuale in concreto destinata è definita in contrattazione integrativa (art. 7, comma 6, lett. ab), ma non può scendere al di sotto di tale valore minimo. Supponiamo che la contrattazione integrativa abbia deciso un valore del 20%: in tal caso, il restante 80% del BudgetPOS_ è destinato a retribuzione di posizione (e, eventualmente, in quota parte agli altri utilizzi consentiti, p.es. welfare aziendale o incentivi alla mobilità territoriale).

La quota destinata a retribuzione di posizione è attribuita a ciascun incarico (e, conseguentemente, ai singoli che lo coprono) in base alla rilevanza delle responsabilità assunte e di altri fattori di complessità organizzativa e/o professionale relativi all’incarico stesso (art. 16, comma 6), all’interno di un range di valori che va da un minimo di 11.000 euro annui lordi ad un massimo di 29.000 euro annui lordi (tali valori sono comprensivi di tredicesima).

La quota destinata a retribuzione di risultato è invece attribuita ai singoli in funzione del livello di valutazione di performance individuale conseguito nell’espletamento dell’incarico (art. 16, comma 8) – ovviamente, a condizione che tale valutazione sia risultata positiva – sulla base di più specifici criteri definiti in contrattazione integrativa (art. 7, comma 6, lett. ab). La retribuzione di risultato può differenziarsi esclusivamente in base ai livelli di performance conseguiti.

Il contratto non ha fissato un valore massimo di retribuzione complessiva dell’EP, ma ha posto dei vincoli che si pongono come oggettivi limiti indiretti al superamento di determinate soglie retributive.

Oltre al valore tabellare di 35.000 euro annui lordi per tredici mensilità, ha stabilito un tetto massimo per la retribuzione di posizione di 29.000 euro. Nel caso in cui sia attribuito il valore massimo di posizione (in presenza di un’oggettiva rilevanza organizzativa dell’incarico assunto) si arriva ad unvalore di 64.000 euro, cui si aggiunge la retribuzione di risultato. I valori di quest’ultima si determinano in funzione della quota complessivamente destinata a retribuzione di risultato (non meno del 15% delle complessive risorse del BudgetPOS_RIS(EP)) e dei livelli di performance individuali conseguiti.

In base a quali criteri o considerazioni viene deciso il valore retributivo medio di riferimentodi una EP?

La decisione del valore medio di riferimento retributivo di una EP è una scelta di politica retributiva dell’amministrazione che va assunta tenendo conto di alcune esigenze:

 essere “attrattivi” rispetto al mercato del lavoro;

 trovare una soluzione di equilibrio tra vincoli di risorse, dati dalle facoltà assunzionali, e numerosità delle assunzioni programmate (se si sceglie un valore più alto si abbassa il numero delle assunzioni).

Va ricordato che il valore di riferimento retributivo di una EP è un “valore medio”. Nella scelta di tale valore medio l’amministrazione potrebbe anche basarsi su una ragionevole previsione del valore economico di posizione (retribuzione di posizione) che prevede di assegnare alle posizioni di responsabilità che saranno occupate dalle EP. Il valore medio di tali retribuzioni di posizione a cui saranno aggiunti un valore medio di retribuzione di risultato, un valore medio per gli altri eventuali benefici (esempio welfare aziendale) e i 35.000 di stipendio tabellare, potrebbe essere un possibile metodo da utilizzare per definire tale valore retributivo medio di riferimento.

In caso di cessazione di una EP l’amministrazione deve ridurre il suo Budget?

Si, in caso di cessazione l’amministrazione deve ridurre il suo Budget con decorrenza dalla

cessazione. Ciò anche in caso di cessazione per mobilità (indipendentemente dal fatto che la mobilità abbia luogo tra amministrazioni soggette o non soggette a vincoli assunzionali).

I risparmi derivanti dalla cessazione di una EP sono utilizzabili per nuove assunzioni?

In base alle regole generali che disciplinano assunzioni, le cessazioni di personale a tempo indeterminato, ivi comprese quelle delle EP, fanno aumentare le facoltà assunzionali a partiredall’anno successivo alla cessazione. Le nuove facoltà assunzionali possono essere utilizzate, in base ai fabbisogni, per assumere altre EP oppure personale di altre qualifiche.

È importante mantenere distinti i concetti di BudgetPOS_RIS(EP) e di facoltà assunzionali:

 il BudgetPOS_) rappresenta il limite di spesa disponibile per erogare la retribuzione di posizione e di risultato del personale EP (e gli altri utilizzi consentiti, welfare aziendale e incentivi alla mobilità territoriale); in caso di cessazione (anche per mobilità) il Budget si riduce subito, con decorrenza dal momento in cui avviene la cessazione; in caso di reclutamento (per assunzione o per mobilità) il BudgetPOS_aumenta subito, con decorrenza dal momento in cui avviene il reclutamento;

 le facoltà assunzionali rappresentano invece il limite di spesa per nuove assunzioni: in caso di cessazione di personale a tempo indeterminato le facoltà assunzionali aumentano dall’anno successivo; ma l’aumento di facoltà assunzionali, pur costituendo il presupposto per nuove assunzioni, non fa aumentare il Budget fintantoché la persona non viene effettivamente assunta.

Si consumano facoltà assunzionali in caso di mobilità volontaria di una EP tra amministrazioni entrambe soggette alla regola del turn over?

Il consumo di facoltà assunzionali in caso di mobilità tra amministrazioni nel caso di una EP segue le regole generali stabilite nel caso di turn over (cfr. l’art. 14, co. 7 del D.L. n. 95/2012). Quindi, se entrambe le amministrazioni sono soggette a vincoli assunzionali, la mobilità è neutra e non determina consumo di facoltà assunzionali per l’amministrazione ricevente né risparmi da cessazione per quella cedente. L’amministrazione cedente dovrà però diminuire il suo Budget in base al suo valore retributivo medio di riferimento delle EP, mentre l’amministrazione ricevente dovrà aumentarlo. L’aumento di Budget dell’amministrazione ricevente sarà calcolato in base al proprio valore retributivo medio di riferimento (RetEP): più precisamente, l’aumento sarà pari alla differenza tra il suddetto valore ed il tabellare di EP.

L’amministrazione può variare nel tempo (ad esempio, da un piano dei fabbisogni a quello successivo) il valore di riferimento retributivo dell’EP?

Può variarlo, in aumento o in diminuzione, ma sempre nell’ambito del range fissato dal contratto (compreso tra 50.000 e 70.000 euro annui lordi). In tal caso, l’aumento del Budget a decorrere dal momento in cui l’assunzione programmata si è effettivamente verificata, è effettuato sulla base del nuovo valore medio adottato dall’amministrazione applicato al numero delle assunzioni verificatesi.

L’assunzione di EP (anche mediante progressioni verticali) deve essere decisa nell’ambito del piano dei fabbisogni, ora confluito nel PIAO? Quali sono i fabbisogni che possono spingere un’amministrazione ad assumere delle EP?

L’assunzione delle EP (ivi comprese le progressioni verticali), come avviene per tutte le assunzioni, è decisa nell’ambito del piano dei fabbisogni (ora confluito nel PIAO).

Il fabbisogno di EP discende dalla necessità di coprire, mediante il conferimento di incarichi, posizioni ad elevata responsabilità. Le responsabilità connesse agli incarichi possono avere prevalente contenuto gestionale ovvero, nel caso in cui sia richiesta l’iscrizione ad albi professionali, prevalente contenuto professionale. In ogni caso, esse richiedono elevata autonomia decisionale, con assunzione diretta di decisioni ed atti, anche su delega formale del dirigente. Le posizioni di responsabilità vanno preventivamente individuate dalle amministrazioni, in base alle proprie esigenze organizzative.

Vi è dunque un legame stretto tra fabbisogno di EP e scelte organizzative. Un ottimale inserimento di questa nuova figura richiede che le amministrazioni definiscano preventivamente le posizioni di responsabilità, i processi di lavoro di cui è affidata la responsabilità, gli spazi di autonomia decisionale, le relazioni organizzative interne (con il dirigente e con i collaboratori) e, eventualmente, le relazioni esterne con altri soggetti. Si ritiene che tale quadro organizzativo possa essere definito anche con atti di micro-organizzazione. Naturalmente, è possibile anche ipotizzare revisioni

organizzative di maggiore impatto che incidano sugli assetti organizzativi macro: ad esempio, nei casi in cui le amministrazioni decidano di sopprimere, in tutto o in parte, i posti dirigenziali che si sono resi vacanti a seguito delle cessazioni che hanno finanziato le facoltà assunzionali utilizzate per assumere le EP.

Una volta che il piano triennale nell’ambito del PIAO ha previsto un fabbisogno di personale EP, bisogna anche modificare le dotazioni organiche, se non vi sono posti di EP in organico? Come si effettua, in tal caso, la modifica delle dotazioni organiche?

In base all’art. 6, comma 3 del d. lgs. n. 165/2001, in sede di definizione del piano dei fabbisogni di personale (ora confluito nel PIAO), ciascuna amministrazione indica la consistenza della dotazione organica e la sua eventuale rimodulazione in base ai fabbisogni programmati. Da tale disposizione si evince che la rimodulazione degli organici è effettuata all’interno del piano dei fabbisogni.

La suddetta rimodulazione deve avvenire, però, senza alterare le quantità finanziarie complessive (la disposizione di legge pone, infatti, un vincolo di “neutralità finanziaria”) e con il limite di non poter istituire nuove posizioni dirigenziali. Il che significa che il costo della dotazione organica rimodulata non può essere superiore al costo della dotazione organica ante rimodulazione.

In conclusione, è stata creata una nuova area a cavallo tra quella dei funzionari e la categoria dei dirigenti, che agevolmente potrebbe sostituire questi ultimi.

A livello di incentivazione alla performance, è stato introdotto l’istituto dell’incarico sia per i funzionari (eventuale) che per le elevate professionalità (necessario).

Trova così modifica e regolamentazione legale l’istituto delle posizioni organizzative.

Per le restanti aree l’incentivazione è data dalle progressioni verticali che trovano disciplina legale e contrattuale.

Tutte le progressioni sono disciplinate da procedure meritocratiche.

Fabio Petracci

Infortuni sul lavoro, responsabilità del RSPP e d.lgs. n. 231/2001.

A seguito di un infortunio sul lavoro dovuto all’utilizzo di una macchina da taglio, emergeva la pericolosità della macchina stessa per l’incolumità dei lavoratori in quanto priva di dispositivi meccanici o elettronici che impedissero alle mani dei lavoratori l’accesso alle parti taglienti in movimento dell’apparato.

Ancora, risultava che la dipendente infortunata fosse priva di formazione nell’uso del macchinario.

Con specifico riferimento alle responsabilità, la sentenza n. 34943/2022 della Suprema Corte sezione penale ha ritenuto che il giudizio di colpevolezza espresso dalla Corte d’Appello fosse conseguenza di una errata interpretazione dell’art. 5, comma 1, lett. a, del D.Lgs. 231/2001, in quanto era stata non correttamente operata una sorta di equiparazione tra il potere di compiere scelte decisionali in piena autonomia in materia di sicurezza (riconosciuto al RSPP) ed il riconoscimento di una veste apicale, secondo la previsione dell’art. 5, lett. a, D.Lgs. 231/2001.

In effetti, il sistema normativo della responsabilità dell’ente ex d.lgs. n. 231/2001 è fondato sul principio di legalità, il quale impone una puntale e attenta verifica dei tratti della fattispecie produttiva di responsabilità che emerge nella relazione tra autore del reato ed ente a cui viene imputato il fatto illecito commesso.

Dunque, non può costituire elemento sintomatico della costituzione di una posizione verticistica lo strumento delineato dall’art. 16 d.lgs. n. 81/2008, che attiene al diverso ambito della delega di funzioni nel settore della prevenzione dei rischi in ambito lavorativo e che non determina il trasferimento della funzione datoriale, nella sua accezione gestionale e di indirizzo, nè di regola, la costituzione di una posizione verticistica, ma risulta strutturato per sollevare il datore di lavoro da singoli incombenti in materia di sicurezza nel limitato ambito delle funzioni trasferite.

Di conseguenza, ai fini della individuazione delle persone dotate di funzioni di rappresentanza, di gestione e di direzione dell’ente e di una unità organizzativa provvista di autonomia finanziaria, non può prescindersi dai criteri identificativi fissati dagli istituti dell’ordinamento giuridico generale e non quelli di un particolare settore come quello lavoristico, ivi compresi gli strumenti deputati alla costituzione ovvero al trasferimento di funzioni da soggetti verticistici, quali la procura.

Pertanto, la nomina e l’attribuzione di specifici poteri al del RSPP non esonera automaticamente il datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

LA NUOVA FRONTIERA DELLA SALUTE DIGITALE: AL CNEL SI DISCUTE SULLO “SPAZIO EUROPEO DEI DATI SANITARI”.

 

Giornata di confronto al CNEL organizzata da CIU Unionquadri con il patrocinio del CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo), con l’Ispettorato della Sanità Militare, il Ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità e la Confindustria, con la presenza delle maggiori aziende strategiche del settore.

Il Presidente del CNEL Tiziano Treu ha sottolineato come lo spazio europeo dei dati sanitari costituisce una delle priorità della Commissione Europea nel settore della Sanità e soprattutto sarà un’opportunità per realizzare buone politiche in tema di salute e benessere dei cittadini.

Dopo il messaggio di saluto del Capo di Gabinetto del Ministero del Lavoro, Cons. Mauro Nori, la Confederazione CIU Unionquadri nella persona del Presidente Gabriella Ancora, ha motivato l’iniziativa come un momento di riflessione ad ampio raggio, con il coinvolgimento di Istituzioni ed Imprese, sulle nuove implicazioni emerse dallo spazio europeo dei dati sanitari, con soprattutto per CIU, le nuove professioni, legate ai dati ed al loro uso, al ruolo delle piattaforme digitali, al rapporto tra pubblico e privato, alle regole applicabili, all’innovazione tecnologica.

Per Maurizio Mensi, Consigliere del CESE “con lo Spazio Europeo dei dati siamo in presenza di un salto di qualità nella strategia UE per la salute: un ecosistema fatto di regole, pratiche, infrastrutture, per assistere il paziente / cittadino e orientare le scelte di politica sanitaria”.

Per Francesco Riva, Consigliere del CNEL e Coordinatore del Gruppo di Lavoro Benessere Sport e Alimentazione, “lo Spazio Europeo consentirà all’UE di sfruttare a pieno le potenzialità dell’utilizzo e del ri-utilizzo dei dati specie dopo il periodo pandemico, dove ogni stato membro è andato per conto proprio. Per questo l’EHDS rappresenta un punto fondamentale perché sottolinea che la salute non ha confini aprendo un approccio innovativo ad es. per le indagini dei tumori, grazie alla possibilità dell’elaborazione di tali dati e potendo avere in tale maniera una situazione in tempo reale dell’incidenza oncologica in tutto l’Unione”.

La giornata di studio segue un progetto iniziato con il seminario sul Fascicolo Sanitario Elettronico, strumento che diverrà presto “la cartina di tornasole” dei passi avanti compiuti in tema di innovazione nel mondo della Salute.

 

CNEL 15 novembre 2022 – Lo “Spazio Europeo dei dati sanitari” per realizzare l’Europa della salute.

Lo “Spazio Europeo dei dati sanitari” per realizzare l’Europa della salute.

Appuntamento al CNEL martedì 15 novembre

Come circoleranno, nei prossimi anni, le informazioni sulla salute dei cittadini europei, e come questi ultimi potranno controllare e utilizzare i propri dati sanitari grazie alla creazione di uno Spazio europeo dei dati sanitari (EHDS). Questo e altri temi saranno oggetto del dibattito che avrà luogo al CNEL il prossimo 15 novembre, con autorevoli esperti a confronto sulle sfide e sulle opportunità del mercato unico dei servizi e dei prodotti digitali in campo sanitario.

L’incontro, ideato e organizzato dalla CIU-Unionquadri insieme all’Ispettorato della sanità militare, al CNEL con il patrocinio del Comitato Economico e Sociale Europeo, prenderà il via alle 9,30 con i saluti del Presidente del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro Prof. Tiziano Treu e del Vicepresidente Floriano Botta, insieme a quelli della Presidente della CIU-Unionquadri Gabriella Àncora.

Alle due tavole rotonde che seguiranno prenderanno parte rappresentanti di Istituzioni e Imprese. Per il CNEL il Dott. Francesco Riva, per il CESE il Prof. Maurizio Mensi, per il Parlamento europeo l’On. Luisa Regimenti, per il Garante privacy il Vicesegretario generale Dott. Claudio Filippi, per l’Ispettorato Generale della Sanità Militare il Ten. Col. Ferdinando Spagnolo, per l’Università di Tor Vergata il Prof. Vittorio Colizzi e per il Ministero della Salute il Direttore della Comunicazione Dott. Sergio Iavicoli. Per le imprese interverranno l’Ing. Giovanni Arcuri del Policlinico Gemelli, il Prof. Andrea Stazi di Google, il Dott. Ettore Russo di Anitec-Assinform, il Dott. Roberto Tartaglia Polcini di SeneGis Gi e l’Avv. Gianluca Pomante, DPO di Atlantica Digital SpA.

Il seminario si terrà presso la sede del CNEL a Roma a Villa Lublin e sarà trasmesso anche attraverso il canale streaming sul sito dello stesso CNEL.

Lo spazio europeo costituisce un ecosistema specifico per l’ambito medico che comprende strutture, regole, norme e pratiche comuni, insieme ad una struttura di gestione per dare ai cittadini un maggiore accesso digitale ai propri dati sanitari e un maggiore controllo su tali informazioni, a livello nazionale ed europeo. La libera circolazione di tali dati in ambito UE favorirà un mercato unico per le cartelle cliniche elettroniche, i dispositivi medici ed i sistemi di intelligenza artificiale.

Lo Spazio europeo dei dati sanitari rappresenta un pilastro fondamentale per realizzare una Unione europea orientata alla salute, ed è il primo spazio comune dei dati nell’ambito della strategia europea, priorità della Commissione e parte integrante dell’Unione sanitaria europea. Tra gli obiettivi, quello di predisporre un sistema affidabile, sicuro ed efficiente per l’utilizzo dei dati sanitari a fini di ricerca e innovazione, necessario anche per elaborare politiche e interventi normativi che, come sottolineato anche dalla commissaria per la salute Stella Kyriakides, rappresentano “un vero tesoro per gli scienziati, gli innovatori e i decisori politici al lavoro sulle prossime terapie salvavita”.

 

Dìgnìtà del lavoro: l’indimenticata e attualissima lezione di F. Caffè.

Un volume racconta <1 posto degli uomini abbiamo sostituito numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l’assillo dei ‘equilibri contabili». Appare strano oggi, specialmente alla luce dell’emergenza energetica e dei comportamenti poco solidali di alcuni Paesi europei, pensare che queste parole sono state pronunciate da un economista. Da un maestro ed intellettuale lontano dai luoghi comuni, aggiungerebbero con commozione migliaia di suoi allievi; da un riformista vero, progressista e antifascista, ribadirebbero con riconoscenza non pochi rappresentanti del mondo sindacale e del lavoro; da un europeista dubbioso, ricorderebbero altri. Ma anche da un umanista appassionato di giustizia sociale; da uno tra i più tenaci difensori del Welfare state e i più inflessibili nemici del retoricume neoliberista, come lo definiva, delle speculazioni in Borsa e del capitalismo finanziario, di cui denunciava gli inganni e i ricatti e che, anche per tali ragioni, considerava «una degenerazione del sistema economico». Quelle parole, troppo a lungo inascoltate ma divenute più necessarie che mai in un’epoca come la nostra, sono appartenute a Federico Caffè, tra i maggiori intellettuali italiani del secondo Dopoguerra e il più importante divulgatore, nel nostro Paese, del pensiero di John Maynard Keynes e degli economisti scandinavi. Di stupefacente attualità, rappresentano un frammento di un articolo pubblicato nel 1986, l’età d’oro del libero mercato, sulla rivista Micromega dal titolo «Umanesimo e Welfare». «Un disavanzo previdenziale, pur se soggetto a oscillanti valutazioni, è una cifra che fa sempre notizia ed evoca baratri incolmabili e altre immagini di una catastrofe prospettata con la stessa frequenza con la quale viene in pratica rinviata. Ma le file di persone anziane che attendono innanzi agli uffici postali, nelle condizioni climatiche più disagiate, per la riscossione degli importi loro attribuiti, vengono considerate come un fatto di natura, al pari delle condizioni climatiche cui sono soggette», scriveva Caffè, sottolineando, in questo modo, l’irrinunciabilità dei concetti che hanno guidato lo sviluppo del suo potente pensiero economico e l’etica della sua intera, mite esistenza. La costante attenzione verso i più fragili, la certezza che l’economia dovesse essere al servizio dell’uomo e non viceversa, la convinzione della centralità del lavoro, l’idea di uno Stato concepito come garante di benessere sociale e di uguaglianza di possibilità. Sapeva, in quanto intellettuale, di avere un compito: «Quello di indicare un modello alternativo e di dimostrare che si tratta di un modello possibile», aveva spiegato a Fernando Vianello in una intervista per il giornale Sinistra 77. Per la maggior parte delle persone il suo nome si accosta essenzialmente alla sua misteriosa scomparsa avvenuta nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1987, a 73 anni, dalla casa romana di via Cadlolo dove viveva con il fratello Alfonso: un allontanamento enigmatico (sullo scrittoio aveva lasciato le chiavi dell’appartamento, gli occhiali da vista, il passaporto, la carta di identità e due biglietti di auguri pasquali) seguito con apprensione dalla stampa dell’epoca che usava evidenziarne le analogie con la sparizione, quasi mezzo secolo prima, di Ettore Majorana, e contrassegnato dalla sentenza del Tribunale di Roma che l’8 agosto 1998 ne ha dichiarato la morte presunta. Ma per tutti gli altri, per chi lo ha conosciuto da vicino, per quanti hanno studiato i suoi testi, per coloro che con lui hanno collaborato o si sono laureati in Politica economica e finanziaria alla Sapienza di Roma – ben 1.200 studenti dal 1959 al 1987: tra loro anche Mario Draghi e Ignazio Visco – «il più keynesiano degli economisti italiani» è stato molto di più. A tentare di raccontarlo in un appassionante volume da poco uscito per Fazi Editore, «Maestro delle mie brame. Alla ricerca di Federico Caffè», è proprio uno dei suoi allievi, Daniele Archibugi, studioso di Economia politica, docente formatosi nel Regno Unito (come Caffè) e a lungo tra gli amici più intimi e devoti. Non ancora trentenne al tempo della scomparsa del maestro, la mattina del 15 aprile è tra i primi ad arrivare in via Cadlolo, dopo aver ricevuto un’angosciosa telefonata. «Ciao, Daniele, sono Alfonso. Vmicio [così Federico Caffè era chiamato in famiglia, nda] è scappato di casa». Partendo da qui, Archibugi arriva a delineare, pagina dopo pagina, la figura di un pensatore schivo e autorevole, desideroso di confrontarsi con il proprio tempo ma allo stesso tempo fortemente condizionato in ogni singola scelta dal suo particolare aspetto fisico; ne narra la capacità maieutica e l’entusiasmante umanità ma ne descrive anche, di converso, l’umanissima malattia di cui soffriva: la depressione. Silenzioso eppure mai apertamente negato, il suo male oscuro si era aggravato negli ultimi anni con la fine dell’insegnamento e la tragica morte di tre allievi prediletti – tra questi, Ezio Tarantelli, ucciso dalle BR nel 1985 – raggiungendo il suo climax nella sconvolgente sparizione. Un distacco a cui, secondo Ermanno Rea (vedi «L’ultima lezione», Einaudi, 2000), lo stesso Caffè ha voluto imprimere «una natura oscura», poiché egli «non agi in maniera estemporanea, sull’impulso di una decisione repentina. Pianificò la fuga preordinandone ogni movimento fino al più banale». Raccogliendo i ricordi propri, carichi ancora oggi di tensione, di compassione e di affetto, insieme a quelli delle persone a lui più prossime, decifrando il lunghissimo e variegato carteggio intercorso tra il professore e il padre, Franco Archibugi – cominciato nel 1945 quando il primo aveva trent’anni e il secondo, che diverrà un importante esperto di strategie di pianificazione e coordinerà l’ufficio studi della Cisl, appena diciannove -, l’autore ci permette di osservare da vicino la figura di un uomo complesso. Così malinconico e rassegnato che a soli trentatré anni diceva di sentirsi come «un cavallo cieco forzato a girare la ruota del frantoio», così ironico e spiritoso da perdersi nei giochi dei bambini come quando, negli anni Sessanta, caricava sulle spalle il piccolo Daniele e lo portava avanti e indietro come fosse un calesse lungo il corridoio del suo appartamento. Così avido e allo stesso tempo così generoso di sapere, quando si intratteneva con Franco in vivaci e pungenti discussioni di natura economica, filosofica, musicale, letteraria che spesso e volentieri terminavano con l’invenzione di complicatissimi quiz. O quando si dilettava a scrivere i suoi «Fondi di Caffè» sul Manifesto, che alternava alla stesura di saggi, di traduzioni e alle consulenze per la casa editrice Laterza. Nato in una famiglia assai modesta della Pescara di oltre cent’anni fa, il riscatto, per “Chicco” (come lo chiamavano gli amici più stretti), era arrivato proprio con lo studio, grazie al quale molti anni dopo riuscì persino a ricomprare il piccolo podere che la madre aveva venduto per consentirgli di frequentare l’Università. Con i frutti del suo lavoro aveva acquistato anche il pied-à-terre segreto in via dei Capocci a Roma, che aveva poi rivenduto a Bruno Amoroso, allievo e amico sincero. Cocciuto e laborioso, era noto per una rettitudine morale che lo aveva portato, negli anni Sessanta, ad interrompere una trentennale collaborazione con la Banca d’Italia per dedicarsi esclusivamente all’insegnamento, poiché, aveva confessato nella lettera di dimissioni, il «percepire un compenso mensile da parte della Banca […] è per me inaccettabile, ove non trascorra almeno parte della giornata nella Banca stessa». «Se un’eredità di Federico Caffè esiste», riflette al telefono Daniele Archibugi, che oggi dirige a Roma gli studi sulla Ricerca e l’innovazione del Cnr e insegna Innovazione, Governance e Politiche pubbliche al Birkbeck College dell’Università di Londra, «è quella che nessuno va lasciato indietro: tutti devono essere aiutati a rimettersi in piedi quando sono in difficoltà. Nel suo Abruzzo aveva visto la distruzione provocata dalla guerra ma ne aveva osservato anche la rinascita; aveva una conoscenza molto pragmatica e, tuttavia, molto reale di ciò che la politica economica poteva fare per la vita delle persone. Non era a favore dell’assistenzialismo: era convinto, invece, che la dignità derivasse dal lavoro e che tutte le persone avessero il diritto di vivere felicemente del proprio lavoro. Non si rende felice una persona dandole un sussidio, ribadiva, ma un lavoro appropriato alle sue capacità». Da umanista, continua Archibugi, Caffè non approverebbe la natura computazionale dell’economia attuale. «Era assai critico verso il capitalismo finanziario poiché per lui possedere un capitale è già di per sé un impegno a produrre: aveva addirittura lanciato la proposta – in realtà, una provocazione – di socializzare la Borsa. Quel che dovremmo assolutamente fare, e in questo la lezione di Federico Caffè ci appare indispensabile, è cambiare il modo in cui intendiamo l’attività economica. Ci troviamo in una situazione in cui c’è un mostro senza testa che sta divorando tutto: bisogna che qualcuno metta ordine nel processo economico perché nessuno è più in grado di controllarlo. L’economia», conclude l’autore, «deve tornare a poggiare su pilastri umanistici e il lavoro deve tornare ad essere la sua solida base. Non è più sostenibile che in una situazione in cui abbiamo così tante necessità primarie insoddisfatte si continui a sprecare la risorsa economica e sociale più importante, che è proprio il lavoro».