“Il diritto del web” (2021) di Maurizio Mensi e Pietro Falletta.
Come è cambiato il mondo dell’informazione e dei media e come si è evoluto lo scenario regolamentare a fronte dell’erompere delle nuove tecnologie digitali? Questi sono alcuni dei temi al centro del volume “Il Diritto Del Web” (Wolters Kluwer, 2021) di Maurizio Mensi e Pietro Falletta, giunto ora alla terza edizione e arricchito da preziosi approfondimenti sui temi più attuali e di rilievo. L’opera ricostruisce il quadro giuridico illustrando come l’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione abbia comportato la necessità di rivisitare e di ripensare continuamente, a fronte delle continue sfide e sollecitazioni tecnologiche, regole talvolta antiche.
In particolare, il volume offre un efficace quadro dell’attuale complessità che caratterizza il mondo online, trattando questioni che vanno da quella urgente e delicatissima di come l’uso del web – la principale tra le applicazioni di internet – influisca e caratterizzi la circolazione delle idee e delle notizie (dunque la manifestazione del pensiero), fino a lambire il complesso tema della redistribuzione del potere e delle ricchezze che l’uso a fini economici di dati e metadati personali determina, passando per temi che spaziano dalla sicurezza cibernetica al cloud computing, dal delicato equilibrio tra regolazione e concorrenza alla tutela del diritto d’autore e dei dati personali.
Gli autori, anzitutto, tracciano la storia di internet e della sua regolamentazione, non trascurando di evidenziare come attualmente il core business dei Giganti del web sia da individuare nella raccolta sistematica dei dati, cui consegue la capacità di offrire agli utenti un mondo virtuale cucito su misura, grazie al lavoro di profiling costante.
Allargando lo sguardo, gli autori rilevano come nel corso degli anni ottanta fu avviato nello spazio europeo il processo di liberalizzazione delle telecomunicazioni nessuno avrebbe potuto immaginare i mutamenti che questo processo avrebbe determinato né la velocità dell’impatto che tali mutamenti avrebbero avuto sul tessuto sociale. Da allora, nonostante la brevità del tempo trascorso, il mondo della comunicazione e dell’informazione si è trasformato in profondità passando attraverso stagioni diverse segnate sia dallo sviluppo delle tecnologie che dall’espansione dei mercati.
Mentre la “rivoluzione digitale” apriva verso la convergenza delle reti e dei terminali, alla fase iniziale della liberalizzazione è seguita, con una accelerazione crescente, la fase della regolazione; all’azione dei governi, a livello europeo e nazionale, si è sovrapposto l’ingresso in campo delle autorità amministrative indipendenti. Ad una ad una sono venute così a cadere tutte le barriere che in passato avevano diviso il mondo della comunicazione da quello dell’informazione ed il principio della “neutralità” della Rete ha finito per imporsi. Il sistema delle comunicazioni e dei media digitali in particolare è stato investito da processi di innovazione rapidi e continui che hanno profondamente ridefinito tutti i principali aspetti della sua organizzazione.
L’obiettivo fondamentale oggi è quello di garantire un’elevata qualità del servizio in un contesto in cui le esigenze degli utenti crescono in proporzione all’aumento dei dati trasmessi e fornire la protezione necessaria in termini di neutralità, diritti di proprietà intellettuale e privacy. In particolare, gli autori si soffermano sulle varie sfaccettature della net neutrality, che viene inquadrata come principio di ampio respiro, al centro di un dibattito che, coinvolgendo stakeholder, istituzioni europee e internazionali, mette in relazione tecniche, strumenti e policy utilizzate per gestire il trasporto delle informazioni sulla rete.
Il volume cerca inoltre di indagare come evitare imponenti concentrazioni di potere e commistioni tra politica e informazione, quali organi debbono governare il sistema dei media, a fronte delle sfide sollevate dalla convergenza multimediale, dalle trasformazioni della rete e dal ruolo sempre più rilevante degli algoritmi. Mensi e Falletta rilevano come internet e le sue diverse applicazioni tendano ormai a rappresentare la prima pietra di paragone su cui misurare l’entità delle trasformazioni strutturali cui stiamo assistendo: da quelle strettamente collegate alla sfera della persona ed ai processi individuali di apprendimento cognitivo a quelle che investono, nelle forme più ampie e interdipendenti, il funzionamento degli aggregati sociali e degli apparati pubblici.
Il lettore troverà in questo volume risposte a numerosi quesiti, ma, al contempo, si imbatterà in ulteriori questioni, connesse ai temi affrontati nei singoli capitoli. Ciò che il volume di Mensi e Falletta mira ad offrire, infatti, è un quadro della varietà delle problematiche ricomprese nella materia “diritto del web”, delineando un percorso per discutere – partendo dai testi normativi e dalle tendenze regolatorie italiane e europee (ma anche con uno sguardo attento oltreoceano e all’Asia) – gli orientamenti prevalenti nel nostro ordinamento.
NEL 2021 IL CNEL HA PRODOTTO 53 ATTI UFFICIALI TRA CUI 4 DISEGNI DI LEGGE.
Cinquantatré atti ufficiali, di cui 4 disegni di legge, 19 pareri (15 su atti Ue), 17 Documenti di Osservazioni e Proposte, 14 audizioni in Parlamento, 4 ordini del giorno, 3 rapporti e relazioni, 6 quaderni scientifici, 13 audizioni presso il CNEL, 4 consultazioni pubbliche, cui hanno risposto oltre 50mila cittadini, nonché 40 riunioni di commissioni. In totale oltre 107 riunioni. Rilevante anche l’attività internazionale con 23 sedute di organismi internazionali e 35 incontri con rappresentati di altri Paesi europei. Molto proficua l’attività del gruppo di lavoro sulla Riforma fiscale si è riunito ben 33 volte e ha prodotto un disegno di legge sulla “Delega al Governo per la riforma dell’Ordinamento della giustizia tributaria e del contenzioso tributario l’integrazione e l’attuazione dello Statuto dei diritti del contribuente”. Infine, nel corso dell’anno è stato presentato anche il risultato dello Stress-test sull’impatto della pandemia sul sistema Paese realizzato attraverso il coinvolgimento di tutte le forze sociali rappresentate in Consiglio.
Sono i numeri dell’attività del CNEL svolta nell’anno 2021, illustrati durante l’ultima seduta dell’Assemblea del CNEL, presieduta dal presidente Tiziano Treu, alla presenza del Segretario generale Mauro Nori, che ha discusso e approvato tutti i punti previsti all’ordine del giorno.
Durante i lavori è stato presentato il XXIII Rapporto sul Mercato del Lavoro e la contrattazione collettiva; è stata svolta la descrizione di un’iniziativa di collaborazione con il Ministro/Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie volta all’identificazione e alla condivisione delle fonti informative relative all’attuazione territoriale del PNRR per potenziare le attività di monitoraggio dei gruppi di lavoro di cui alla determina del Presidente del CNEL del 15 luglio 2021, a cura del Consigliere Michele Palma. È stata, inoltre, presentato, ma rinviato ad altra data per la trattazione, un documento concernente il progetto di legge C.3343 “Delega Governo per la revisione del sistema fiscale ed in particolare il principio di delega riguardante il superamento dell’IRAP”.
L’Assemblea ha dato anche il via libera a un parere del Comitato del CNEL per l’esame degli atti dell’Unione europea (coordinatore il consigliere Gian Paolo Gualaccini), sull’Atto UE COM (2021) 577 final, dal titolo “Proposta di Regolamento del Consiglio relativo a un quadro di misure volte a garantire la fornitura di contromisure mediche di rilevanza per le crisi in caso di un’emergenza di sanità pubblica a livello dell’Unione”.
Come comunicato, inoltre, dal presidente Treu nel corso della seduta, venerdì 21 gennaio 2022, a Roma, nel Parlamentino del CNEL, è prevista la presentazione, la prima ufficiale in Italia, dell’Action Plan for Social Economy della Commissione Europea. L’iniziativa si inserisce nell’ambito dell’accordo di collaborazione interistituzionale tra CNEL e MEF per lo sviluppo e il rafforzamento dell’economia sociale non profit in Italia.
In vigore il 3 dicembre 2021 la legge 162/2021 con interessanti modifiche al c.d. testo unico per le pari opportunità di cui al d. lgs. 198 dell’11 aprile 2006.
Articolo dott.ssa Laura Angeletti componente del Centro Studi Corrado Rossitto di CIU Unionquadri.
Entra in vigore la legge 162/2021 che amplia il tema delle pari opportunità, con alcune importanti novità quali il divieto di discriminazione anche indiretta in fase di assunzione, l’obbligo del rapporto per la Consigliera di Parità per le aziende oltre i 50 dipendenti e meccanismi premiali per le aziende munite di certificazione di parità di genere.
Il decreto, strutturato in libri, titoli e capi, affronta il tema delle pari opportunità tra i generi da diverse angolazioni: il libro primo è dedicato alla gestione politica della promozione delle pari opportunità e istituisce gli organi rilevanti (comitato nazionale, consiglieri di parità, comitato per l’imprenditoria femminile). Il libro secondo riguarda le pari opportunità “nei rapporti etico sociali”, principalmente all’interno della famiglia, mentre il libro terzo colloca il tema nell’ambito “rapporti economici”, ed è quello che affronta in maniera specifica le discriminazioni sui luoghi di lavoro, con riferimenti specifici alla maternità e alla paternità, e all’esercizio dell’attività di impresa. Infine, il libro quarto è dedicato alle pari opportunità nei rapporti civili e politici.
Il libro terzo è quello maggiormente interessato dall’intervento di riforma, in quanto viene modificato fin dalla prima norma, l’articolo 25. Questa disposizione, rubricata “discriminazione diretta e indiretta”, costituisce il fulcro del diritto antidiscriminatorio: contiene la nozione stessa di discriminazione e definisce la differenza tra discriminazione diretta e indiretta, sulla base di definizioni che oramai sono divenute “tradizionali” all’interno del nostro ordinamento[1].
Si definisce discriminazione diretta “qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l’ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole discriminando (le candidate e i candidati, in fase di selezione del personale,)[2] le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga”.
La legislazione comunitaria, in maniera non dissimile, definisce la discriminazione diretta come la situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente, in base al sesso, di quanto sia stata o sarebbe trattata un’altra persona in una situazione analoga[3].
Da queste definizioni emerge che per discriminazione diretta si intende ogni condotta con la quale la persona, in ragione del genere, viene fatta oggetto di un trattamento che risulta sfavorevole se confrontato con quello riservato alle persone appartenenti all’altro genere.
La discriminazione indiretta riguarda invece i casi in cui un trattamento uniforme e di per sé neutro produce conseguenze diverse, e pregiudizievoli, su gruppi di persone accomunate dal possesso di un tratto o di un carattere che li differenzia da altri gruppi o dal resto della popolazione. Chiaramente, non tutti i tratti o i caratteri sono passibili di essere ricondotti ad un trattamento discriminatorio, ma soltanto quelli che vengono identificati per il loro possibile impatto sociale e selezionati ex ante dal legislatore come meritevoli di tutela.
In particolare, ai sensi del comma 2 dell’articolo 25, “si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento, (compresi quelli di natura organizzativa o incidenti sull’orario di lavoro,)[4] apparentemente neutri mettono o possono mettere (i candidati in fase di selezione e) i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché’ l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.”
In questo caso, quindi, il trattamento discriminatorio si realizza attraverso l’adozione di un criterio di per sé legittimo, ma tale da a provocare un impatto discriminatorio tra i gruppi di persone considerate, sfavorendone uno rispetto ad un altro. Ad esempio, la giurisprudenza ha ravvisato l’esistenza di discriminazioni indirette nei bandi di concorso che prevedano, per i concorrenti, un’altezza minima al di sopra di quella che statisticamente è la media femminile, ma entro quella maschile[5] o, anche, nelle maggiorazioni retributive connesse alla disponibilità degli interessati ad orari variabili che tendenzialmente vedono penalizzate le donne[6].
L’individuazione di una discriminazione indiretta richiede una delicata attività ermeneutica da parte del Giudice, in quanto comporta un’approfondita valutazione dell’atto discriminatorio nel contesto di riferimento, al fine di verificare se un comportamento che appaia, ad un primo esame, legittimo, nasconda, in realtà, una forma di ingiustificata differenziazione.
Proprio per questo, si ritiene rilevante l’intervento di modifica compiuto dalla legge 162 che ha introdotto nella formulazione originaria della norma un riferimento esplicito ai lavoratori in fase di selezione, che consente di instaurare un collegamento diretto con la condotta consistente nel domandare alle lavoratrici quale sia la loro situazione, attuale o programmata, rispetto alla propria vita privata e familiare.
Questa condotta è già oggetto di divieto dell’articolo 27 del testo unico, che vieta “qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, nonché’ la promozione, […] qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale […]” e chiarisce ulteriormente che tale discriminazione è vietata anche se attuata attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, nonché’ di maternità o paternità, anche adottive”. L’operatività di tale divieto viene estesa, dal terzo comma della norma “alle iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento, aggiornamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini formativi e di orientamento […], nonché’ all’affiliazione e all’attività in un’organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, e alle prestazioni erogate da tali organizzazioni.” Con l’unica deroga, in ottica di tutela della salute, relativa a “mansioni di lavoro particolarmente pesanti individuate attraverso la contrattazione collettiva.”
Sebbene questa condotta sia oggetto di una tipizzazione e di un divieto normativo, il nuovo riferimento alle fasi di selezione e reclutamento non risulta affatto superflua o ridondante: da un lato, infatti, essa può ricomprendere una casistica più ampia del solo compimento di siffatte indagini, e dall’altro, il fatto stesso di collocare il tema all’interno di una norma fondamentale del diritto antidiscriminatorio vi attribuisce un rilievo inedito che potrebbe portare a interessanti sviluppi giurisprudenziali.
Un altro significativo intervento apportato all’articolo 25 consiste nell’introduzione del comma 2 – bis che amplia e dettaglia la fattispecie discriminatoria: si afferma, infatti, che costituisce discriminazione “ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti, pone o può porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni: a) posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori; b) limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali; c) limitazione dell’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera”.
La rilevanza della norma si osserva sia nell’ampliamento delle possibili cause di discriminazione, dal momento che al genere del lavoratore vengono aggiunte le esigenze di cura, a prescindere dal tipo legame (biologico o no) da cui derivano, sia negli effetti che dalla discriminazione possono scaturire, impattando aspetti diversa della vita di un lavoratore. In particolare, il riferimento alla limitazione della partecipazione alle scelte aziendali e dell’accesso ai meccanismi di progressione di carriera, denotano l’attenzione del legislatore al fatto che siano garantiti a tutti i lavoratori, a prescindere dal genere, le stesse opportunità di crescita professionale e di accesso a posizioni manageriali, come sono quelle dei quadri.
Un altro punto significativamente innovato, all’interno del libro terzo del decreto, è l’articolo 46, novellato, e fatto seguire da un nuovo articolo 46 bis.
La disposizione modificata ha ad oggetto il rapporto sulla situazione del personale che deve essere redatto dalle aziende e inviato alla consigliera e al consigliere regionale di parità, al consigliere nazionale di parità, al ministero del lavoro e al dipartimento delle pari opportunità della presidenza del consiglio dei ministri. La novella legislativa modifica (abbassandola da 100 a 50 dipendenti) la soglia dimensionale a partire dalla quale le aziende sono tenute a redigere il rapporto e introduce la possibilità di redigerlo su base volontaria per le realtà al di sotto dei 50 dipendenti.
Il decreto, inoltre, introduce un’elencazione abbastanza puntuale dei contenuti da inserire nel rapporto, tra i quali figurano, oltre al numero dei lavoratori occupati per ciascun genere e delle donne in stato di gravidanza “le differenze tra le retribuzioni iniziali dei lavoratori di ciascun sesso, l’inquadramento contrattuale e la funzione svolta da ciascun lavoratore occupato, anche con riferimento alla distribuzione fra i lavoratori dei contratti a tempo pieno e a tempo parziale, nonché l’importo della retribuzione complessiva”, la quale comprende le componenti accessorie, tutte le indennità e ogni altro emolumento riconosciuto ai lavoratori.
Inoltre, il rapporto dovrà contenere informazioni e dati in merito ai processi di selezione, alle procedure utilizzate per l’accesso alla qualificazione professionale e alla formazione manageriale, agli strumenti e sulle misure resi disponibili per promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, alla presenza di politiche aziendali a garanzia di un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso e ai criteri adottati per le progressioni di carriera.
Anche questa previsione contiene elementi interessanti rispetto allo sviluppo della carriera e alla crescita professionale di tutti i lavoratori; in particolare è da segnalare l’accesso alla formazione manageriale e alla indicazione dei criteri adottati per le progressioni di carriera. È difficile, in realtà che dalla redazione di questo rapporto, che costituisce un’autodichiarazione, emerga la prassi di applicare criteri discriminatori per la progressione di carriera dei lavoratori; tuttavia, il fatto che il legislatore dedichi al tema una rilevanza a sé stante denota un interesse e un’attenzione che sono indubbiamente rilevanti. Infine, il riferimento alle misure per promuovere la conciliazione di tempi di vita e tempi di lavoro risulta particolarmente incisiva rispetto al tema della crescita professionale delle lavoratrici, che spesso, ancora, viene fortemente ostacolata e rallentata dalla distribuzione iniqua del lavoro di cura all’interno delle famiglie.
Ancora in tema di promozione della parità di genere nei rapporti di lavoro, la legge di riforma introduce l’articolo 46 bis, che istituisce la certificazione della parità di genere, per attestare l’adozione, sui luoghi di lavoro, di politiche e misure per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale e di mansioni e per la tutela della maternità.
I parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere verranno determinati dal Governo con decreto, con particolare riferimento alla retribuzione corrisposta, alle opportunità di progressione in carriera e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche in relazione alle lavoratrici in stato di gravidanza. Questa previsione, seppur necessaria per l’implementazione della certificazione, non risulta di semplice applicazione, vista la difficoltà di determinare e definire in maniera univoca lo stato di attuazione di questo tipo di misure.
A supporto della effettiva implementazione di questa previsione normativa, viene previsto per l’anno 2022 (articolo 5 della legge di riforma), un meccanismo premiale per le aziende che se ne dotino, consistente in un esonero dal versamento dei contribuiti previdenziali a carico del datore di lavoro. L’esonero è determinato in misura non superiore all’1% del montante contributivo dell’azienda, sempre entro il limite massimo dei 50000 euro annui per azienda. A titolo di ulteriore incentivo per le aziende particolarmente virtuose che siano in possesso della certificazione entro la fine del 2021, viene riconosciuto un punteggio premiale per la valutazione, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, di proposte progettuali ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti.
La legge di riforma prevede, infine, che anche nelle società costituite in Italia controllate da pubbliche amministrazioni, non quotate in mercati regolamentati, si applichi il riparto dei componenti del Consiglio di Amministrazione sulla base del genere, garantendo che il genere meno rappresentato ottenga almeno due quinti degli amministratori eletti.
Le novità introdotte dalla legge di riforma, qui sinteticamente tracciate, contengono aspetti di evidente rilevanza.
In particolare, come richiamato in precedenza, l’ampliamento della nozione di discriminazione diretta e indiretta è un passo significativo, data l’importanza della norma; più nello specifico, si rileva l’attenzione prestata alla garanzia della parità rispetto alle opportunità di crescita di carriera e al conseguimento di ruoli strategici e rilevanti all’interno del contesto lavorativo, che possiamo identificare con la qualifica del quadro.
La disparità nelle concrete opportunità di accesso a queste posizioni, a sfavore delle lavoratrici, si deve ancora oggi alla persistenza di stereotipi sociali e culturali che inevitabilmente si riverberano nelle dinamiche in essere sui luoghi di lavoro, specchio della società di cui fanno parte. In particolare, la cultura manageriale, al netto di lodevoli eccezioni, risulta ancora poco aperta rispetto ad una piena partecipazione femminile, come confermato da studi e ricerche[7].
Oltre a ciò, il permanere di questo tipo di disparità è dovuto ad una iniqua distribuzione tra i generi del carico del lavoro di cura, che spesso grava in misura sproporzionata sulle lavoratrici ostacolando l’effettiva possibilità di conseguire posizioni apicali o ruoli manageriali.
Pertanto, fermo restando il plauso per la chiara affermazione normativa contenuta in questo intervento di riforma, si ritiene che questa debba essere accompagnata dall’implementazione di misure specifiche. Senza pretesa di esaustività, potrebbero essere utili allo scopo interventi di formazione strutturali per una innovazione della cultura manageriale rispetto alle questione di genere, insieme ad un sistema di welfare che sollevi effettivamente le lavoratrici dall’assolvimento di determinati compiti che, in certa misura, ostacolano il raggiungimento di performance professionali di alto livello.
In ogni caso, e conclusivamente, data la capacità del diritto di introdurre idee e pensieri, oltre che regole e divieti, nella cultura di una nazione, un intervento di questo tipo rappresenta un passo significativo, rispetto al quale è possibile auspicare la realizzazione di miglioramenti effettivi per la società complessivamente considerata.
Dottoressa Laura Angeletti.PHD
[1] F. CARINCI, Diritto del lavoro, II, Il rapporto di lavoro subordinato, Utet, 2012, 211
[2] Inciso introdotto dalla legge 162/2021
[3] Direttiva n. 2006/54
[4] Inciso introdotto dalla legge 162/2021
[5] Cass. 13 novembre 2007, n. 23562
[6] Corte Giust. UE, 17 ottobre 1989, c.109/88
[7] A. FEDI, L. COLOMBO, L. BERTOLA, C. ROLLERO, Donne e carriera tra stereotipi di genere e conciliazione lavoro-famiglia. Un’analisi psico-sociale, in Sociologia del lavoro, n. 148/2017
Nomine Comitati degli italiani all’estero – Com.It.Es
Il 15 dicembre 2021 si è insediato presso l’Ambasciata d’Italia in Lussemburgo il nuovo Com.It.Es eletto direttamente dai connazionali residenti all’estero.
Ai sensi dell’art. 1, co. 2 della Legge 286/2003, i Com.It.Es sono organi di rappresentanza degli italiani all’estero nei rapporti con le rappresentanze diplomatico-consolari.
Anche attraverso studi e ricerche, essi contribuiscono ad individuare le esigenze di sviluppo sociale, culturale e civile della comunità di riferimento; promuovono, in collaborazione con l’autorità consolare, con le regioni e con le autonomie locali, nonché con enti, associazioni e comitati operanti nell’ambito della circoscrizione consolare, opportune iniziative nelle materie attinenti alla vita sociale e culturale, con particolare riguardo alla partecipazione dei giovani, alle pari opportunità, all’assistenza sociale e scolastica, alla formazione professionale, al settore ricreativo, allo sport e al tempo libero.
Tra i 12 consiglieri è stata eletta la nostra rappresentante CIU – Unionquadri in Lussemburgo, Avv. Flora Golini che resterà in carica per 5 anni.
La CIU – Unionquadri è uno dei pochi sindacati che ha sempre avuto la sensibilità di occuparsi dei tantissimi italiani all’estero e pertanto con la nostra neoeletta in questo importante organo istituzionale, saremo sempre più focalizzati nel promuovere delle iniziative sindacali rispondenti alle esigenze dei nostri connazionali all’estero.
CNEL: Adozione Parere – Relatore Dott. Francesco Riva Consigliere CIU – UNIONQUADRI.
Parere in merito all’Atto UE COM (2021) 577 final, Proposta di Regolamento del Consiglio relativo a un quadro di misure volte a garantire la fornitura di contromisure mediche di rilevanza per le crisi in caso di un’emergenza di sanità pubblica a livello dell’Unione.
Prof. Tiziano Treu
Sintesi dell’Atto
Il 15 giugno 2021 la Commissione ha presentato una comunicazione sui primi insegnamenti della pandemia di Covid-19, in cui si stabilisce la necessità che l’Unione disponga di strumenti speciali per reagire con più prontezza durante una crisi sanitaria. Nel novembre 2020 la Commissione ha avanzato proposte per costruire un’Unione europea della salute più forte, e sta ora istituendo all’interno dei suoi servizi una nuova Autorità dell’UE per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (HERA).
Le misure stabilite nel presente regolamento si riferiscono alla modalità di risposta alle crisi. Esse integreranno lo sviluppo dell’HERA quale nuovo motore dell’azione dell’Unione per far fronte alle minacce a carattere transfrontaliero.
Le strutture dell’UE, gli Stati membri e il settore industriale che si occupa di contromisure mediche non erano sufficientemente preparati a garantire uno sviluppo, una produzione e un’acquisizione efficienti, né una distribuzione equa di contromisure mediche fondamentali in risposta alla pandemia.
Dalla pandemia è inoltre emersa non solo la presenza di troppe attività di ricerca frammentate in tutta l’Unione, ma anche la vulnerabilità nelle relative catene di approvvigionamento mondiali. In ultima analisi, tali limitazioni hanno comportato ritardi e inefficienze nella risposta, che hanno causato la perdita di vite umane e danneggiato l’economia.
In particolare, sono stati individuati i problemi seguenti relativi alle contromisure mediche di rilevanza per le crisi:
▪ carenze e frammentazione nella raccolta e analisi di informazioni;
▪ strumenti di intervento non ottimali e assenza di ecosistemi pubblico-privati pienamente funzionali;
▪ ostacoli alla produzione rapida di contromisure mediche di rilevanza per le crisi, legati anche a capacità produttive insufficienti, in particolare all’inizio della pandemia di COVID-19;
▪ sforzi frammentati e dispersivi a livello nazionale e dell’Unione.
Per porre rimedio a tali lacune serve una preparazione migliore, ma sono necessari anche poteri, strumenti e azioni specifici per le situazioni di emergenza transfrontaliera. L’Unione non disponeva di un mandato di emergenza specifico per il coordinamento delle sue attività in grado di garantire a tutti gli Stati membri le adeguate contromisure mediche rispetto cui ciascuno Stato membro era dotato di capacità diverse. Né a livello nazionale né a livello dell’UE era già presente la necessaria capacità di risposta. È presumibile che questa situazione si ripeterà: con ogni probabilità nessun paese singolarmente può offrire una risposta adeguata a tutte le sfide associate alle emergenze di sanità pubblica come la COVID-19. La mancanza di coordinamento degli sforzi può inoltre causare la frammentazione di un mercato già complesso e la duplicazione dei finanziamenti pubblici.
La presente proposta di Regolamento costituisce uno dei pilastri principali dell’Unione europea della salute ed è presentata unitamente alle proposte avanzate dalla Commissione nel novembre 2020. Le misure proposte integrano le seguenti misure attuali dell’Unione in materia di risposta alle crisi e sanità:
▪ il Regolamento (UE) 2021/522 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 marzo 2021, che istituisce un programma d’azione dell’Unione in materia di salute per il periodo 2021-2027 (“programma UE per la salute”) (EU4Health) e che abroga il regolamento (UE) n. 282/2014;
▪ la risposta medica prevista dalla decisione n. 1313/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio su un meccanismo unionale di protezione civile;
▪ lo strumento dell’UE per il sostegno di emergenza (regolamento (UE) 2016/369 del Consiglio sulla fornitura di sostegno di emergenza all’interno dell’Unione);
▪ la proposta su una strategia farmaceutica per l’Europa.
Le misure proposte integrano anche altre politiche e azioni nell’ambito del Green Deal europeo nel settore del clima e dell’ambiente.
Le misure sosterranno gli Stati membri, garantendo una cooperazione orientata ad assicurare la disponibilità e la fornitura di materie prime e contromisure mediche di rilevanza per le crisi.
Tutto quanto sopra premesso, il CNEL osserva quanto segue:
Il CNEL accoglie con molto favore la proposta di istituire un quadro di misure da attivare in caso di un’emergenza di sanità pubblica, consentendo all’Unione di adottare le misure necessarie per garantire la disponibilità e la fornitura sufficienti e tempestive di contromisure mediche di rilevanza per le crisi.
La mancanza di un coordinamento europeo nell’affrontare le crisi sanitarie in modo omogeneo e veloce ha determinato la crisi attuale.
I singoli Stati hanno organizzato una rete di emergenza nazionale non confrontandosi con gli altri Paesi.
La UE ha preso coscienza che la salute dei propri cittadini è alla base di benessere e sviluppo economico.
Molto spesso si è andato ad incidere in maniera negativa nei finanziamenti sanitari.
Oggi con l’istituzione di una nuova Autorità dell’UE per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie (HERA), si è voluto istituire una struttura per la sicurezza sanitaria agile e sostenibile per migliorare la disponibilità di contromisure mediche.
La pandemia ha determinato, come reazione positiva, la presa di coscienza che solo un coordinamento europeo è in grado di affrontare, risolvere ed eventualmente prevenire tali situazioni.
L’Unione non disponeva di un mandato di emergenza specifico per il coordinamento delle sue attività.
Con l’istituzione di HERA sarà invece superata la frammentarietà della risposta sanitaria, innestando un circuito performante per tutti gli Stati, migliorando l’efficienza e l’efficacia della risposta sanitaria.
È molto importante porre l’attenzione nella raccolta e nell’analisi dei dati.
Come criticità è stata evidenziata la mancanza di materie prime, materiali di consumo, dispositivi e attrezzature idonee, si è perciò deciso l’ampliamento e la creazione di nuove capacità produttive di contromisure mediche di rilevanza per le crisi.
Riteniamo importante che il Consiglio per le crisi sanitarie sia integrato dalla Commissione e che ogni Stato membro indichi un proprio rappresentante a garanzia della velocità e unitarietà di azione in caso di emergenza.
È condivisibile, inoltre, che sia garantita la partecipazione al Consiglio per le crisi sanitarie, in qualità di osservatori, di tutte le istituzioni e di tutti gli organismi dell’Unione competenti.
Di assoluta importanza è che la Commissione metta a disposizione del Parlamento europeo e del Consiglio modelli e previsioni relativi al fabbisogno di materie prime e contromisure mediche di rilevanza per le crisi con il sostegno delle agenzie dell’Unione.
Segnaliamo il testo del Prof. Maurizio Mensi – Consigliere CIU Unionquadri al Comitato Economico e Sociale Europeo “Il Diritto del Web”.
- Questo volume analizza approfonditamente l’evoluzione che è stata sin qui solo brevemente riassunta, adottando un approccio interdisciplinare che si estende a tutti i diritti e i settori giuridici oggi coinvolti dalle nuove tecnologie e dalle loro implicazioni correlate alla rete web.
- Uno dei suoi molti pregi è quello di consentire, nell’approfondimento dei singoli profili, la percezione della dimensione d’insieme e mai parcellizzata del fenomeno, permettendo di tracciarne gli sviluppi e di intravederne le prospettive.
- Professionisti del settore e studiosi della materia.
- Docenti universitari.
TREU: È SALTATO PATTO GENERAZIONALE, PER GIOVANI FUTURO INCERTO.
“Il Paese è in condizioni migliori rispetto al dicembre 2020, le debolezze del nostro mercato del lavoro, accentuate dalla pandemia risultano in parte superate.
Tutti i dati, anche qui presentati, mostrano segnali di una ripresa economica consistente, anzi superiore alle aspettative e alle medie europee, resta tuttavia molta strada da fare per recuperare i posti di lavoro perduti soprattutto da donne e giovani ma sono certo che i comparti della ‘green’ e ‘white’ economy spalancheranno le porte a nuove professionalità, incentivando l’occupazione e rivitalizzando l’economia.
Le professionalità necessarie per la transizione ecologica, le professioni sociali e sanitarie, i servizi alla persona e di educazione conosceranno un exploit e il Piano di Ripresa e resilienza, genererà occasioni di acquisizione di nuove competenze anche nei settori dell’agricoltura (brown jobs) e delle professioni digitali (orange jobs)”.
Lo ha affermato il presidente del CNEL, Tiziano Treu, introducendo il XXIII Rapporto sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva 2021 del CNEL, presentato oggi nel corso di un’Assemblea straordinaria del Parlamentino di Villa Lubin, alla presenza del segretario generale Mauro Nori, del Ministro del lavoro e delle politiche sociali Andrea Orlando; del Director for Employment, Labour and Social affairs, OCSE Stefano Scarpetta; dell’Head of Unit ad interim for Social policies Eurofund, Massimiliano Mascherini, e della consigliera CNEL e docente dell’Università di Roma Tre, Silvia Ciucciovino, che ha moderato il dibattito con le organizzazioni rappresentate al CNEL.
Il Rapporto sul mercato del lavoro si apre con un’analisi dello scenario e dell’impatto dell’emergenza sanitaria da Covid-19. Il capitolo 2 è dedicato alle prospettive di nuova stagione per le politiche attive del lavoro tra azioni dell’Unione Europea e riforme nazionali. Nel capitolo 3 focus sul lavoro delle nuove generazioni e nel 4 sulla formazione. Il capitolo 5 è una delle grandi novità della nuova edizione del Rapporto che da spazio al lavoro libero professionale. L’altro contenuto innovativo è il capitolo 12 in cui per la prima volta in Italia si sviluppa un’analisi sul lavoro delle persone private della libertà personale.
“Non dobbiamo attendere la fine dell’emergenza per affrontare il tema della precarietà o ci saranno corollari previdenziali e sociali che rischiano di essere irrecuperabili” ha affermato il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Andrea Orlando, poi sulla situazione dei contratti ha aggiunto: “la contrattazione va fatta funzionare altrimenti la strada è quella del salario minimo”.
Il documento del CNEL poi analizza l’impatto degli incentivi all’occupazione (capitolo 6), la proposta europea per “salari minimi adeguati” nella prospettiva dell’ordinamento italiano (7), la contrattazione decentrata ai tempi della pandemia da Covid 19 (8), le misure di sostegno al reddito nel 2021 fra emergenza Covid e ripresa economica (9) e il reddito di cittadinanza e reddito di emergenza (10). Il capitolo 11 è dedicato allo sviluppo della sanità integrativa e la risposta dei fondi sanitari alla pandemia da Sars-CoV2 mentre il 13, altra analisi innovativa, è sui green jobs, i lavori legati al Green Deal Europeo. Chiude il rapporto l’aggiornamento a dicembre 2021 dei numeri dell’Archivio nazionale dei contratti collettivi di lavoro.
“Le forme di lavoro precario, come il part-time involontario e i contratti a termine sono diffuse ed elevate. Qui i caratteri negativi non consistono solo nella quantità di lavori temporanei, ma nella loro spesso brevissima durata che impedisce ogni prospettiva di sviluppo, e per altro verso nelle ridotte possibilità di trasformarli in contratti a tempo indeterminato o nei tempi lunghi della possibile trasformazione. Questo è un segno drammatico della incertezza delle prospettive che pesa anche sulle imprese disponibili ad assumere. Per contrastare queste forme di precarietà possono essere solo parzialmente utili i vari tipi di incentivi alla stabilizzazione, anche più durevoli e mirati di molti disposti in passato”, ha aggiunto Treu.
Lo scenario
La crisi sanitaria ha colpito in modo asimmetrico settori e imprese, penalizzando particolarmente in una prima fase soprattutto i settori a prevalenza femminile, come il commercio. Tuttavia, nonostante le maggiori difficoltà in termini di conciliazione, soprattutto per le lavoratrici con figli piccoli nel periodo della didattica a distanza, il sistema degli ammortizzatori sociali, e la diffusione del lavoro da remoto sono riusciti a contenere le perdite occupazionali, per cui nel complesso i divari di genere in termini di livelli occupazionali sono rimasti relativamente stabili. Difficoltà maggiori per le madri che, a causa della chiusura delle scuole, sono dovute rimanere a casa ad accudire i figli, rinviando le decisioni di partecipazione al momento di superamento della pandemia e per i giovani. I più giovani hanno difatti registrato il calo occupazionale più marcato nelle prime fasi della crisi; tuttavia, proprio grazie alla veloce risalita del lavoro a termine verificatasi negli ultimi mesi, gli occupati più giovani hanno registrato nella prima parte dell’anno una dinamica molto positiva. Confrontando il secondo trimestre 2021 con il quarto trimestre del 2019, le persone con un titolo di studio universitario presentano l’evoluzione meno sfavorevole, (+60 mila, pari ad una crescita dell’1.1%). Gli effetti della crisi hanno colpito in misura maggiore i diplomati, tra i quali il numero di occupati è ancora inferiore dell’1.7% a quello del quarto trimestre 2019 (-184 mila), e soprattutto i lavoratori con al massimo la licenza media, per i quali i livelli occupazionali sono ancora inferiori di quasi 300 mila unità nel periodo considerato, pari ad una contrazione del 4.1%; in entrambi i casi, peraltro, la caduta di occupazione è stata accompagnata da un marcato aumento degli inattivi.
Una delle eredità che sembrano affermarsi dopo la crisi del Covid-19 è l’aumento del già ampio numero di lavoratori potenziali che hanno difficoltà a inserirsi nei circuiti produttivi, mentre al contempo le ampie oscillazioni dell’attività economica, e conseguentemente della domanda di lavoro, prodottesi a seguito della pandemia, hanno determinato problemi di scarsità di manodopera in diverse imprese che si sono ritrovate nella necessità di ampliare gli organici in tempi rapidi, eventualmente anche a seguito della riduzione attuata nei mesi precedenti.
I contratti
Il dato senza dubbio più eclatante che emerge dal Rapporto e che connota da anni l’evoluzione delle relazioni industriali nel nostro Paese è la continua crescita del numero di contratti collettivi di lavoro. Si tratta di un fenomeno che si registra senza sosta da almeno un decennio, e che è puntualmente documentato dall’attività di deposito in copia autentica presso l’archivio del CNEL. Studiare un fenomeno che appare patologico è rilevante dati il ruolo svolto dalla contrattazione collettiva di lavoro nel nostro Paese e la stretta integrazione fra disposizioni legislative e norme contrattuali nella disciplina dei diversi istituti.
A dicembre 2021 risultano depositati al CNEL 933 contratti collettivi nazionali di lavoro vigenti per i lavoratori del settore privato. Rispetto ai dati rilevati un anno fa, l’incremento appare vistoso: ben 77 CCNL, pari a un +9%. Vi sono settori più dinamici di altri; gli incrementi percentuali maggiori
si registrano nei settori contrattuali “chimici” (+38%), “lavoro domestico” (+22%), “istruzione, sanità, assistenza, cultura, enti” (+17,5%). L’unico settore contrattuale in cui il numero di contratti nell’anno in esame si è ridotto è “edilizia, legno, arredamento” (-6,6%).
Tale fenomeno è coerente con i sacrosanti principi di libertà sindacale, di autodeterminazione della categoria contrattuale e, più estesamente, di pluralismo associativo, costituendo la piena realizzazione di quanto disposto dall’articolo 39, comma 1, della Costituzione. Si pongono tuttavia problemi che non possono essere ignorati e che derivano proprio dall’elevato numero di fonti collettive deputate a regolare i rapporti di lavoro, che in linea teorica non sarebbe necessariamente negativo qualora generasse effetti concorrenziali virtuosi. Il guaio è che gli effetti concorrenziali
agiscono soprattutto al ribasso. La pluralità di fonti collettive e l’ampliamento dell’offerta di regole che disciplinano il rapporto di lavoro possono diventare il mercato dove “fare shopping” per ridurre il costo del lavoro.
Più di un terzo dei contratti depositati sono sottoscritti da organizzazioni non rappresentate al CNEL, anche se questi contratti risultano applicati a un numero davvero ridotto di lavoratori. 353 CCNL su 933 (pari al 38%) sono sottoscritti da firmatari datoriali e sindacali non rappresentati al CNEL, ma tali contratti risultano applicati a 33 mila lavoratori su oltre 12 milioni (si tratta di circa lo 0,3%).
I 128 contratti collettivi sottoscritti da soggetti datoriali e sindacali rappresentati al CNEL, pari al 14% dei CCNL vigenti, riguardano poco più di 10 milioni e 660 mila lavoratori, circa l’87% del totale dei lavoratori oggetto delle denunce. Si registrano, infine, 450 contratti sottoscritti da organizzazioni sindacali rappresentate al CNEL e da organizzazioni datoriali non rappresentate al CNEL (pari al 48% del totale).
Giovani
Al quadro demografico, che mette in evidenza come l’accentuata denatalità abbia drammatici effetti quantitativi sulle coorti di trentenni e ventenni, si associa la debolezza dei percorsi formativi, che pone l’Italia in cima alle classifiche europee per il maggior guadagno in termini di occupazione che deriverebbe da una migliore formazione e da un più efficiente utilizzo del capitale umano. Un gender gap fra i più elevati fra le economie mature, fra le più basse in Europa la quota di quindicenni in possesso di competenze considerate indispensabili per un solido percorso di vita nel XXI secolo, una delle più basse incidenze di laureati e una delle più elevate quote di cittadini fra i 18 e i 24 anni privi di titolo di scuola secondaria superiore (quest’ultimo dato fermo sui livelli del 2008). Il nostro rapporto richiama la necessità di rendere pienamente operativi questi strumenti, di rafforzare e aggiornare il programma garanzia giovani anche alla luce delle indicazioni europee, di far funzionare i nuovi strumenti di politica attiva predisposti dal PNRR e dalla legge di bilancio.
Aumento precari
Una delle eredità che sembrano affermarsi dopo la crisi del Covid-19 è l’aumento del già ampio numero di lavoratori potenziali che hanno difficoltà a inserirsi nei circuiti produttivi, mentre al contempo le ampie oscillazioni dell’attività economica, e conseguentemente della domanda di lavoro, prodottesi a seguito della pandemia, hanno determinato problemi di scarsità di manodopera in diverse imprese che si sono ritrovate nella necessità di ampliare gli organici in tempi rapidi, eventualmente anche a seguito della riduzione attuata nei mesi precedenti.
Il lavoro sarà sempre più green
Dall’analisi condotta per il Rapporto 2021 emerge che l’incidenza di lavoratori full green è concentrata in public utilities (30%) e nelle costruzioni, dato in linea anche in Italia con i risultati ottenuti dall’analisi sull’applicazione del concetto europeo di Environmental Economy (Commissione Europea, 2020d). Altresì, le professioni hybrid green sono concentrate in edilizia (45%), nei servizi sociali privati (10.5%) e in manifattura (9.1%).
Lavoro e pena
In questi giorni decine di detenute e detenuti sono impegnati in laboratori dolciari e di cioccolateria in vista del Natale e delle festività. Sono solo alcune delle attività che vedono impegnato chi deve scontare una pena con contratti di lavoro veri e propri su cui, per la prima volta, il CNEK accende le luci. Superata la storica distinzione tra lavoro intramurario ed extramurario, il lavoro negli Istituti Penitenziari si distingue oggi in lavoro alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria e alle dipendenze di datori di lavoro esterni, per questi ultimi sia all’interno dell’istituto penitenziario che all’esterno. I detenuti che lavorano hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri dei lavoratori liberi. Percepiscono una remunerazione molto simile a quello dei lavoratori in stato di libertà (è pari ai 2/3 di quanto stabilito dai contratti collettivi nazionali di lavoro), hanno diritto alle ferie remunerate, alle assenze per malattia e il datore di lavoro paga per essi i contributi assistenziali (assicurazione sanitaria) e pensionistici. Dal 1° ottobre 2017 sono entrati in vigore gli adeguamenti ai 2/3 dei CCNL stabiliti dalla commissione prevista nella formulazione dell’art. 22 precedente alle modifiche del 2018, che hanno comportato, decorrendo dal 1994, un aumento delle retribuzioni di circa l’80%.
Su una popolazione carceraria di circa 54.000 detenuti, i detenuti lavoranti alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria sono 15.827 unità, pari al 30% dei presenti, impiegati in attività di tipo domestico relative alla gestione quotidiana dell’istituto (pulizie, facchinaggio, preparazione e distribuzione dei pasti, interventi di piccola manutenzione, ecc.), in attività di tipo industriale, presso laboratori e officine presenti all’interno degli istituti (falegnamerie, officine fabbri, sartorie, tessitorie, tipografie, ecc.) oppure in attività di tipo agricolo, presso le colonie agricole dell’amministrazione (per coloro che abbiano particolari requisiti) o presso tenimenti agricoli presenti in alcuni istituti. Assunti alle dipendenze di datori di lavoro esterni sono 2.130 detenuti, di cui 937 prestano la loro attività all’interno del carcere, i restanti lavorano all’esterno e rientrano la sera in carcere.
Formazione
Quella della formazione è una delle urgenze maggiori del mercato del lavoro. I bassi livelli di qualifiche dei lavoratori italiani, accompagnati dal persistere di popolazione in età da lavoro senza appropriati titoli di studio (LFS-Eurostat, 2020) evidenziano, infatti, come occorra investire molto in formazione, certamente durante tutto il percorso della vita di un individuo, ma con una attenzione particolare alla formazione continua, aspetto di cui gli attuali provvedimenti poco discutono. Se è infatti vero che le politiche attive del lavoro debbano integrarsi con quelle formative per facilitare l’ingresso al mondo del lavoro, solo una azione funzionale alla formazione periodica e ricorrente dei lavoratori può garantire un upskilling e un reskilling utili alla maggiore competitività delle PMI italiane. Un obiettivo prioritario è di fornire una formazione digitale di base alla maggioranza degli adulti (l’80% secondo l’Action plan europeo), essenziale per non subire un digital divide che inciderebbe ulteriormente sulle diseguaglianze e sulla esclusione delle persone più deboli. Si tratta di un impegno dì dimensioni pari alla alfabetizzazione della popolazione attuata in Italia con la scuola media unica. In parallelo la formazione continua nel corso della vita dovrà essere estesa alla maggioranza dei lavoratori (il 60% ogni anno secondo l’Action plan europeo) come condizione per aggiornare le loro competenze alla evoluzione tecnologica e organizzativa che investirà le imprese. Per raggiungere questi obiettivi non basta aumentare le risorse, come fa opportunamente il PNRR; è necessario adeguare le strutture della formazione, a cominciare dalla loro organizzazione ancora spesso ispirata a modelli fordisti, le modalità dell’apprendimento, nonché la preparazione e la cultura stessa dei docenti.
Scarica e leggi il Rapporto Mercato del Lavoro e contrattazione (versione provvisoria)