La retribuzione nelle Cooperative.

La determinazione della retribuzione.

Con l’entrata in vigore della legge 142/2001 il mondo della Cooperazione trova una regolamentazione di protezione del socio – dipendente che si interseca notevolmente con quella del lavoro dipendente.

In tal modo, si realizza un sistema complesso che supera il concetto di mutualità in diversi tratti, introducendo diverse disposizioni del diritto del lavoro, anche, come vedremo, in tema di retribuzione.

L’articolo 3 comma 1 della legge n.142/2001 prevede che il trattamento economico del socio lavoratore dipendente debba essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto e stabilisce come la misura minima non possa essere inferiore ai minimi previsti per prestazioni analoghe dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine.

Di seguito interveniva l’articolo 7 comma 4 del DL 248/2007 il quale precisava come in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria andavano applicati i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale della categoria.

La riduzione dei compensi in caso di crisi aziendale.

In materia di retribuzione, va inoltre considerata la possibile riduzione della retribuzione in caso di deliberazione di crisi aziendale che richieda interventi straordinari. (articolo 6 legge 142/2001).

In questi casi, va stabilita la temporaneità dello stato di crisi, nonché uno stretto nesso di causalità tra lo stato di crisi aziendale e l’applicabilità ai soci lavoratori degli interventi di riduzione del trattamento retributivo.

Nel tempo, la normativa di cui alla legge 142/2001 è passata al vaglio della giurisprudenza di merito nei seguenti termini:

Ammontare e parametri della retribuzione.

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza del 2 ottobre 2023 n.27711 proprio in tema di cooperative, in continuità con il percorso giurisprudenziale in tema di attuazione dell’articolo 36 della Costituzione, ha stabilito il potere del giudice di superare la contrattazione collettiva nazionale di categoria, qualora la stessa non rispetti i criteri costituzionali di retribuzione adeguata e proporzionata di cui all’articolo 36 della Costituzione.

La vicenda sottoposta al giudizio della Corte era quella di soci e/o dipendenti di cooperative a cui veniva applicato il CCNL Servizi fiduciari e corrisposta, a fronte di un rapporto full-time, la paga lorda mensile di circa euro 930 mensili.

Ha stabilito la Corte che in tal caso, il giudice possa servirsi ai fini parametrici del trattamento retributivo stabilito in altri contratti collettivi di settori affini per mansioni analoghe.

Sempre in tema di retribuzione per i soci dipendenti, si pone il successivo DL n.248/2007 che all’articolo 7 comma 4 prevede che nel caso di possibile applicazione di contratti della medesima categoria, vanno applicati i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli stabiliti dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria”.

La disposizione è finita al vaglio della Corte Costituzionale in quanto ritenuta in contrasto con il principio di libertà sindacale enunciato dall’articolo 39 della Costituzione.

La Corte Costituzionale con la decisione n.51 del 2015 riteneva però come l’attuazione in via legislativa dell’articolo 36 della Costituzione mediante il richiamo alla contrattazione collettiva vigente non significava il riconoscimento erga omnes dei contratti collettivi, ma l’utilizzazione degli stessi quali semplici parametri esterni con effetti vincolanti.

Stato di crisi e riduzione della retribuzione.

Per poter legittimamente procedere alla retribuzione dei compensi di fronte all’insorgere di uno stato di crisi, debbono realizzarsi dei puntuali e precisi requisiti come afferma Cassazione 8.2.2021 n.2967 che stabilisce la necessità di dimostrare la temporaneità della misura tramite la fissazione di un termine e la serietà e consistenza degli interventi apprestati.

Stato di crisi e rispetto del minimale contributivo.

Come abbiamo visto, l’articolo 6 della legge n.142/2001 nel caso di deliberazione dello stato di crisi consente di ridurre la retribuzione dei soci al di sotto dei minimi del contratto applicato.

In questo caso, ci si chiedeva, se di fronte all’ipotesi di riduzione della retribuzione al di sotto dei minimali contributivi di cui all’articolo 1 del DL 338/1989, la cooperativa fosse tenuta a rispettare il cosiddetto minimale contributivo.

La Cassazione, Sezione Lavoro 4.6.2019 n.15172 ha stabilito che la regola del cosiddetto minimale contributivo si applica anche nel caso in cui una cooperativa deliberi in base all’articolo 6 della legge 142 del 2001 lo stato di crisi che comporti la riduzione della retribuzione dei soci al di sotto dei minimi contrattuali di categoria, non rientrando la delibera che dichiara la crisi tra le fonti che individuano la retribuzione minima da assumere come parametro per il calcolo dei contributi.

Fabio Petracci

Utilizzo improprio dei permessi di cui alla legge 104/92 e licenziamento.

L’utilizzo improprio dei permessi di cui alla legge 104/92 può giustificare il licenziamento del lavoratore.

È legittimo l’utilizzo dell’opera di un’agenzia investigativa qualora finalizzato a confermare i sospetti di un uso fraudolento dei permessi. Conferma questo orientamento una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 12/03/2024, n. 6468).

Cosa accade e cosa può fare il datore di lavoro di fronte ad un utilizzo dei permessi di cui alla legge 104/92 non coerente con le finalità della legge?

La fattispecie.

L’articolo 33 della legge 104/1992 comma 3 e 3 bis così stabilisce:

  1.   Il lavoratore dipendente, pubblico o privato, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa, per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità, che non sia ricoverata a tempo pieno, rispetto alla quale il lavoratore sia coniuge, parte di un’unione civile ai sensi dell’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della medesima legge, parente o affine entro il secondo grado. In caso di mancanza o decesso dei genitori o del coniuge o della parte di un’unione civile o del convivente di fatto, ovvero qualora gli stessi siano affetti da patologie invalidanti o abbiano compiuto i sessantacinque anni di età, il diritto è riconosciuto a parenti o affini entro il terzo grado della persona con disabilità in situazione di gravità. Fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l’assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli sopra elencati, che possono fruirne in via alternativa tra loro. Il lavoratore ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone con disabilità in situazione di gravità, a condizione che si tratti del coniuge o della parte di un’unione civile di cui all’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76, o del convivente di fatto ai sensi dell’articolo 1, comma 36, della medesima legge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con disabilità in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

3-bis.    Il lavoratore che usufruisce dei permessi di cui al comma 3 per assistere persona in situazione di handicap grave, residente in comune situato a distanza stradale superiore a 150 chilometri rispetto a quello di residenza del lavoratore, attesta con titolo di viaggio, o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell’assistito”.

Quindi la legge 104/92 impone al datore di lavoro un sacrificio ed un limite alla propria attività ed alla naturale corrispettività del rapporto di lavoro, sacrificio finalizzato a ragioni di solidarietà sociale a favore del lavoratore chiamato ad assistere un proprio familiare gravemente invalido.

In sostanza, l’assenza dal lavoro e la mancata prestazione trovano ragione e giustificazione in base alla stretta attinenza con tale finalità.

Al di fuori di tali limiti, si concretizza una condotta del lavoratore idonea a determinate condizioni di gravità a giustificare il licenziamento.

L’ipotesi disciplinare.

L’orientamento della Corte di Cassazione e dei giudici di merito è quello di ravvisare l’ipotesi disciplinare del licenziamento, ogniqualvolta non sussista uno stretto nesso causale tra l’attività svolta dal lavoratore nel corso del permesso e le necessità dell’assistito.

Ciò significa in primo luogo che non sussiste il nesso causale allorquando il lavoratore utilizzi il permesso per riposarsi dall’attività di assistenza prestata. Non è pertanto consentito un riposo che potrebbe definirsi “compensativo” dell’assistenza prestata in altri momenti, Non sussiste inoltre in tutti i casi in cui il lavoratore utilizzi il tempo concessogli per finalità che alcuna attinenza hanno con l’opera di assistenza.

Sussiste invece, il nesso e la giustificazione laddove il dipendente risulti assente per effettuare compere o commissioni per conto dell’assistito.

Non sussiste l’ipotesi disciplinare allorquando il lavoratore si sia momentaneamente assentato per una necessità urgente ed imprevista.

L’ipotesi di utilizzo fraudolento dei permessi qualora grave per durata o intenzionalità o reiterazione, giustifica il licenziamento per giusta causa.

Minimi discostamenti tra tempo di assistenza e durata del permesso ove contenuti e non reiterati possono dar luogo a sanzioni disciplinari minori.

Si fa presente che anche la mancata comunicazione dell’avvenuto ricovero dell’assistito che in base all’articolo 33 fa venir meno il diritto all’assistenza può costituire mancanza disciplinare che nei casi più gravi può dar luogo anche al licenziamento.

Come procedere.

L’accertamento.

L’onere di provare l’utilizzo improprio dei permessi grava sul datore di lavoro.

Normalmente gli accertamenti è consigliabile siano affidati ad una agenzia investigativa.

Sul punto meritano attenzione alcune cautele.

Se l’agenzia investigativa non può verificare e controllare l’effettuazione della prestazione del dipendente, essa può invece indagare condotte truffaldine che arrechino pregiudizio all’azienda.

Quindi ben potrà l’agenzia investigativa verificare la presenza e l’attività del lavoratore in permesso per fornire l’assistenza di cui alla legge 104/92.

Si ritiene però da molte parti che l’attività investigativa sia comunque soggetta alla disciplina in materia di trattamento dei dati e quindi, secondo quanto disposto dall’articolo 4 n.1 e 2 del Regolamento 679/2016 – GDPR, l’investigatore potrà agire solo sulla base di concreti sospetti.

Si consiglia pertanto di dare atto di un tanto nella lettera con la quale viene conferito l’incarico all’agenzia investigativa sulla base di rilevati e concreti sospetti.

Alla fine della propria attività, l’investigatore dovrà redigere una relazione con i nominativi degli accertatori che potranno essere indicati in qualità di testi nell’eventuale procedimento di impugnazione del licenziamento.

La contestazione.

La procedura disciplinare di licenziamento è imperniata sulla lettera di contestazione che in apertura del procedimento deve essere inviata all’incolpato.

Si ricorda che per la validità del procedimento, la contestazione di addebito deve individuare in maniera chiara e specifica il fatto in merito al quale il lavoratore è chiamato a discolparsi.

Quindi dovranno essere indicate le giornate e l’ora di assenza dagli incombenti di cui alla legge 104/92 e preferibilmente anche le attività svolte in luogo della dovuta assistenza.

Molta attenzione dovrà essere posta alle giustificazioni poste dal lavoratore per verificare se siano idonee o meno a smentire l’esito degli accertamenti svolti.

Fabio Petracci

Natura delle Autorità Portuali e dei rapporti di lavoro con le stesse: quale normativa in tema di mansioni e di inquadramento?

Prima della legge 84/94

Gli enti portuali che precedettero la creazione delle Autorità Portuali intrattenevano una gran varietà di rapporti giuridici che andavano dall’attività di controllo della portualità alle connesse operazioni portuali.

Allorquando entrava in vigore il DLGS 29/93 riconduzione della gran parte del pubblico impiego alla disciplina del codice civile, nessun problema si poneva per gli enti portuali che, in quanto definiti enti pubblici economici, non rientravano nella disciplina della nuova legge.

Il personale impiegato in tutti i livelli nell’ambito dei porti aveva un contratto collettivo ed il relativo rapporto di lavoro era da sempre disciplinato dal diritto privato.

Con la legge 84/94

Con l’entrata in vigore della legge 84/1994 (Riordino della legislazione in materia portuale) sono istituite le Autorità Portuali poi divenute con il decreto legislativo 169/2016 Autorità di Sistema Portuale, che assumono compiti amministrativi e di gestione demandando ai privati la vera e propria attività portuale di impresa. Ne risulta come le Autorità Portuali poi Autorità di Sistema Portuali assumano funzioni similari a quelle di strutture amministrative pubbliche.

Ne risente dunque anche la definizione giuridica, laddove il comma 5 del citato articolo 6 della legge 84/1994 definisce l’Autorità di Sistema Portuale come ente pubblico non economico di rilevanza nazionale ad ordinamento speciale dotato di autonomia amministrativa, organizzativa, regolamentare, di bilancio e finanziaria.

Dopo l’entrata in vigore del DLGS 169/2016 – Il chiarimento.

Con l’entrata in vigore del decreto legislativo 169/2016 mediante l’articolo 6 è chiarita se non la natura dei rapporti di lavoro con le stesse, perlomeno la disciplina del rapporto di lavoro.

Stabilisce l’articolo 6 comma 5 della legge 84/1994 come modificato dal DLGS 169/2016 che ai rapporti di lavoro con le autorità portuali di sistema si applicano i principi di cui al titolo I del DLGS 165/2001 e quindi non l’intero testo unico.

Il successivo comma 6 stabilisce che il personale dirigenziale e non dirigenziale delle istituite Autorità di Sistema Portuale è assunto mediante procedure selettive di natura comparativa, secondo principi di adeguata pubblicità, imparzialità, oggettività e trasparenza, in coerenza con quanto stabilito dall’articolo 10, comma 6.

In sostanza il Titolo I del Testo Unico del Pubblico Impiego riguarda i principi generali della legge, nonché gli articoli 6, 6 bis, 6 ter, che riguardano le assunzioni del personale ed il conferimento di incarichi a terzi.

Precedentemente all’emanazione del DLGS 169/2016 il comma 2 dell’articolo 6 della legge 84/1994 si limitava a prevedere che alle Autorità Portuali non dovevano applicarsi le disposizioni di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70 e successive modificazioni nonché le disposizioni di cui al decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, fatta eccezione per quanto specificamente previsto dal comma 2 dell’articolo 23 della presente legge (disposizioni in materia di passaggio alle Autorità Portuali del personale dei Porti).

Era inoltre modificato con il DLGS 169/2016, l’articolo 10 comma 6 della precedente legge 84/94 prevedendosi espressamente che il rapporto di lavoro del personale delle Autorità di sistema portuale è di diritto privato ed è disciplinato dalle disposizioni del codice civile libro V – titolo I – capi II e III, titolo II – capo I, e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa.

Il suddetto rapporto è regolato da contratti collettivi nazionali di lavoro, sulla base di criteri generali stabiliti con decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione, che dovranno tener conto anche della compatibilità con le risorse economiche, finanziarie e di bilancio; detti contratti sono stipulati dall’associazione rappresentativa delle Autorità di sistema portuale per la parte datoriale e dalle organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative del personale delle Autorità di sistema portuale per la parte sindacale.

L’orientamento della Corte di Cassazione. L’articolo 2103 non si applica limitatamente all’accesso alla dirigenza.

A conferma del fatto che le norme concernenti nomine ed assunzioni partecipano alla normativa dell’impiego pubblico, la Cassazione, Sezione Lavoro Ordinanza 6.10.2020 n.21484 ha ritenuto che l’assunzione della qualifica dirigenziale presso le autorità portuali, aventi natura di enti pubblici economici, è sottratta alla disciplina di acquisizione automatica della qualifica superiore fissata dall’art. 2103 c.c., in quanto l’immissione nei ruoli dirigenziali, anche nel caso consegua ad una progressione verticale, è equiparabile al reclutamento esterno ed attiene alla fase della costituzione del rapporto di lavoro, retta dai principi fissati dall’art. 97 Costituzione.

La Corte Costituzionale – procedure selettive solo per il passaggio alla dirigenza.

Di seguito con ordinanza del 9 agosto 2022 n.145, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione sollevava in riferimento all’articolo 97 della Costituzione degli articolo 6, comma 2e 10 comma 6 della legge 84/94 laddove  entrambe le disposizioni in violazione della regola del concorso pubblico, consentivano ai dipendenti delle Autorità Portuali di accedere in via automatica ad una qualifica superiore in ragione dell’applicazione dell’articolo 2103 del codice civile e quindi per l’effetto dello svolgimento di fatto delle mansioni superiori.

La Consulta, dopo un ampio esame, della disciplina del personale delle ADSP (Autorità di Sistema Portuale) ha ristretto l’applicazione delle norme di cui al DLGS 165/2001 all’assunzione del personale attraverso procedure selettive di natura comparativa e come tali procedure avrebbero dovuto essere altresì attuate per il passaggio alla categoria dirigenziale.

Diversamente riteneva la Consulta per quanto atteneva il passaggio da un’area all’altre della carriera impiegatizia e per le restanti regole afferenti all’inquadramento in quest’ultima carriera.

Sosteneva la Consulta nell’ordinanza citata come l’articolo 10, comma 6 della legge 84/1994 anche nella parte ad oggi vigente prevede che il rapporto di lavoro del personale della Autorità di Sistema Portuale sia di diritto privato e quindi disciplinato nei limitati di cui al già menzionato articolo 6, dalle norme del codice civile e dalla contrattazione collettiva e che quindi non andava di conseguenza applicato, in quanto non richiamato dal DLGS 169/2016 e quindi dall’articolo 6 della legge 84/94,  l’articolo 52 del DLGS 165/200 che detta una speciale normativa in tema di inquadramento e di mansioni.

Riteneva quindi la Consulta che l’applicazione dell’articolo 2103 esulava completamente dalla materia concorsuale e non sussisteva quindi nell’applicazione dell’articolo 2103 del codice civile violazione alcuna del principio costituzionale di cui all’articolo 97 della Carta Costituzionale.

Ne discende che:

La disciplina concernente l’accesso alla dirigenza è sottratta alla disciplina del codice civile e quindi all’articolo 2103 dello stesso, dovendosi considerare accesso a separato rapporto di lavoro.

Per il resto del rapporto di lavoro del personale delle Autorità Portuali, il primo accesso all’impiego avviene attraverso procedura selettiva, mentre le successive vicende sono disciplinate dal codice civile e dalle leggi sul lavoro.

Ne discende che in materia di contrattazione collettiva, valgono le norme ordinarie del lavoro e non quelle del DLGS 165/2001.

Nello specifico, l’ordinamento contrattuale delle carriere non dirigenziali, non sarà soggetto all’articolo 52 del DLGS 165/2001, ma alle ordinarie regole contrattuale ed all’articolo 2103 del codice civile (mansioni di fatto, promozione automatica, possibilità di dequalificazione di un livello in caso di ristrutturazione aziendale).

Inoltre, il datore di lavoro Autorità Portuale, sebbene di sicura natura pubblica, nello stabilire le regole dell’inquadramento non sarà tenuto ad utilizzare i criteri del pubblico impiego (posizioni organizzative etc) ma lo dovrà fare esclusivamente per la dirigenza.

Fabio Petracci

Middle management. L’evoluzione del ruolo dei quadri e delle elevate professionalità in Italia.

 

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Anas cerca personale a tempo indeterminato, requisiti e come candidarsi.

Tutti i contratti offerti da Anas sono a tempo indeterminato e la ricerca da parte della società di strade e autostrade è estesa da Nord a Sud del Paese.

Anas, la società del Gruppo Ferrovie dello Stato che gestisce la rete di strade e autostrade su tutto il territorio nazionale, apre la ricerca di personale in tutto il Paese. L’azienda, infatti, ha recentemente pubblicato diversi annunci di lavoro sul proprio sito per posizioni in ufficio o cantiere in varie Regioni d’Italia, tra attività di coordinamento, controllo, progettazione, realizzazione e manutenzione delle opere in costruzione o predisposizione e stesura di atti e documenti di natura contabile.

Si tratta di un’occasione ghiotta per chi è interessato alla posizione in quanto, fa sapere Anas, le posizioni aperte sono tutte per un contratto a tempo indeterminato. Quali sono dunque le posizioni aperte, i requisiti e le Regioni in cui candidarsi?

Le posizioni aperte in Anas

Sul sito dedicato alle offerte lavorative, Anas ha pubblicato diversi annunci di lavoro. Dal 6 maggio, infatti, la società che gestisce la rete di strade e autostrade italiane è alla ricerca di ispettori specializzati in opere d’arte, figura ambita che si occupa di pianificazione ed effettuazione delle operazioni di ispezione delle opere d’arte, nell’area di competenza.

Tra i compiti, si legge nell’annuncio, attività come:

  • Supporto nella pianificazione ed effettuazione delle attività di ispezione delle opere d’arte, nell’area di competenza;
  • Supporto nel coordinamento delle ispezioni condotte da ditte esterne;
  • Alimentazione banche dati e sistemi aziendali (SOAWE, BMS);
  • Monitoraggio ed esame dei dati e degli esiti delle ispezioni;
  • Applicazione delle linee guida e degli indirizzi disposti dalla DG;
  • Supporto nella cooperazione con il Responsabile MP e con il Capo Centro per la definizione delle priorità d’intervento sulle opere d’arte;
  • Supporto al contributo alla progettazione degli interventi di manutenzione programmata e alla relativa istruttoria tecnica;
  • Supporto della pianificazione, progettazione, realizzazione e gestione dei sistemi di monitoraggio di opere d’arte con modalità predittiva mediante sensori;
  • Redazione del manuale dell’opera con l’inserimento della stessa in BIM con load adeguato.

Dove sono aperte le candidature

La posizione di ispettore specializzato in opere d’arte Junior è aperta in Emilia-Romagna, Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Umbria e Toscana.

Posizioni aperte anche in Sardegna, ma non per tutta la Regione. Anas, infatti, fa sapere di essere alla ricerca di un ispettore specializzato in opere d’arte nei territori di Sassari e Cagliari.

I requisiti richiesti da Anas

La figura professionale ricercata da Anas dovrà avere dei requisiti specifici come:

  • Laurea magistrale classe LM23 – Ingegneria Civile;
  • Esperienza di almeno 2 anni maturata nella progettazione e realizzazione di opere civili e/o nella progettazione e gestione di sistemi di monitoraggio strutturale di ponti e viadotti, e/o nelle attività di direzione lavori, nell’ambito di nuove opere e/o della manutenzione straordinaria;
  • Conoscenza della normativa tecnica di settore e del Codice dei Contratti pubblici;
  • Padronanza del pacchetto Microsoft Office, di Autodesk Autocad, Primus;
  • Iscrizione Albo e abilitazione professionale.

Tra i requisiti graditi, invece:

  • Conoscenze inerenti alle attività ispettive di ponti e viadotti o altre opere civili e conoscenza sulle prove non distruttive su materiali da costruzione;
  • Conoscenze inerenti alla progettazione e la realizzazione di opere di manutenzione di infrastrutture civili (in specie stradali), con particolare riferimento a ponti e viadotti in c.a., c.a.p. e in carpenteria metallica in zona sismica;
  • Conoscenza delle tecniche di ripristino strutturale anche mediante l’impiego di materiali innovativi;
  • Gradita conoscenza di utilizzo di software di calcolo strutturale e di software gestionali e di monitoraggio;
  • Capacità di verifica della consistenza dei modelli informativi;
  • Conoscenza delle tecniche di monitoraggio e auditing dei processi aziendali BIM;
  • Capacità relazionali, orientamento al lavoro in team e per obiettivi. Autonomia nella gestione dei progetti;
  • Capacità di coordinamento dei team disciplinari nelle attività di modellazione informativa;
  • Attitudine al lavoro in quota su PLE e By-Bridge, e al lavoro in ambienti confinati.

Le candidature di coloro che risultino titolari di un contratto di lavoro presso una delle Società del Gruppo FS all’atto della propria candidatura o che, comunque, risultino tali nel corso del processo selettivo per il quale si sono candidati, saranno trasmesse alla competente funzione di Holding del Gruppo FS per un’eventuale valutazione nell’ambito della mobilità infragruppo. L’azienda si riserva di richiedere ai candidati attestazioni o referenze utili a verificare le esperienze professionali e il quadro retributivo dichiarato.

Le risorse individuate saranno inserite in un intenso percorso formativo che prevede attività teoriche e pratiche utili alla certificazione come addetto alle prove non distruttive, metodo VT, nel campo dell’ingegneria civile.

Come candidarsi

Per potersi candidare alle posizioni Anas bisognerà creare un account sul sito dedicato di Anas Gruppo Fs Italiane e seguire le indicazioni.

Gli utenti, dopo aver scelto la posizione a cui sono interessati, dovranno selezionarla e poi cliccare su “candidati”.

Anas consente anche di inviare una candidatura spontanea in base alle propensioni e alle esperienze lavorative pregresse.

BRUNETTA: PER GESTIRE TRANSIZIONI LO SCHEMA CONFLITTUALE NON BASTA PIÙ, SERVE COOPERAZIONE TRA PARTI SOCIALI.

L’intervento del presidente del CNEL al convegno “Associazioni datoriali e sindacali dei dipendenti: le Sinergie per il Futuro delle PMI nel Mondo del Lavoro”

13 MAGGIO 2024

“Far convergere la cultura datoriale con la cultura del lavoro dipendente è la giusta chiave interpretativa per affrontare le grandi transizioni in atto. Penso ad esempio all’intelligenza artificiale, un ambito che richiede necessariamente questa collaborazione, questa commistione, come condizione indispensabile per poter interpretare il presente e il futuro. Lo schema conflittuale ha fatto il suo tempo. Lo scontro capitale-lavoro è un retaggio del passato, su cui sono state costruite le relazioni industriali ma che ora non basta più. Per questo accolgo con favore il vostro manifesto programmatico: dialogo e partecipazione; sicurezza e salute nei posti di lavoro; competenza e formazione continua; innovazione e sostenibilità. Serve cooperazione tra le parti sociali. Serve solidarietà. Penso anche all’esperienza e al ruolo degli enti bilaterali. Su questi temi possiamo avviare un percorso qui al CNEL, per arrivare a un testo di legge che ci aiuti a rispondere alle grandi sfide del cambiamento”.

Lo ha affermato il presidente del CNEL Renato Brunetta al convegno “Associazioni datoriali e sindacali dei dipendenti: le Sinergie per il Futuro delle PMI nel Mondo del Lavoro”, promosso dalla Ciu Unionquadri – rappresentata al CNEL dal consigliere Francesco Riva – in collaborazione con FenImprese.