GD – Roma, 28 mar. 20 – Di fronte all’emergenza assolutamente eccezionale che ha colpito e sta colpendo tutti i Paesi del mondo nello stesso modo e cioè: stress del sistema sanitario, restrizioni da parte dei Governi per limitare la mobilità personale, riduzione delle attività produttive, possiamo tranquillamente affermare dal punto di vista – asettico ovviamente della teoria economica – che siamo di fronte a uno shock simmetrico.
Cos’è lo shock simmetrico? È un colpo esogeno, non previsto, inaspettato che colpisce tutti i paesi nello stesso modo. Questo differisce dallo shock asimmetrico che si verifica quando i paesi sono colpiti in maniera diversa. Faccio l’esempio più banale: un aumento del prezzo del petrolio colpisce in maniera negativa un Paese consumatore e in maniera positiva un Paese produttore. Ma una invasione delle locuste colpisce allo stesso modo in maniera negativa tutti i Paesi che hanno una produzione agricola.
Detto questo – come conferma la marcia indietro del primo ministro inglese, che aveva tirato fuori la infelice gaffe della “immunità di gregge” cioè: “contagiatevi tutti il più in fretta possibile, chi morirà, morirà, e ne usciremo il più presto possibile”, e che si è poi allineato al resto dell’Europa – è innegabile in conclusione che lo shock che ci ha colpito ha natura di shock simmetrico.
Ora, i libri di testo di macroeconomia dicono che il modo più efficace per contrastare uno shock simmetrico è quello di agire in maniera unitaria e coordinata: “Nel caso di shock simmetrici la politica monetaria comune basterebbe a stabilizzare tutte le varie economie”.
In questo caso la efficacia della politica monetaria può essere massima, sempre naturalmente soggetta al limite dello zero-lower-bound effect. Cioè la politica monetaria ovviamente non è più efficace quando riduce i tassi di interesse a 0 perché sotto lo 0 non può andare. Ma senza un intervento immediato, lo shock simmetrico rischia di trasformarsi in uno shock asimmetrico: l’arresto della attività economica rischia di produrre per una considerevole parte produttiva di ogni Paese – altro punto da libro di testo – lo scattare della così cosiddetta condizione di chiusura.
Si sa che quando il prezzo di vendita del prodotto cala al di sotto del costo medio variabile di produzione è meglio chiudere: ma la chiusura da libro di testo di microeconomia si trasforma dal punto di vista del codice civile molto presto in fallimento. Una volta che l’attività produttiva è stata abbandonata abbiamo perso l’avviamento, l’investimento, la capacità di fare reddito dei lavoratori associati alle imprese che chiudono, ovvero la tipica recessione che abbiamo già sperimentato nella Grande depressione del 1929 con effetto domino in tutta l’economia.
Peraltro, visto che siamo in un’epoca di outsourcing e globalizzazione con sofisticate catene e filiere produttive che hanno spezzettato la produzione dei componenti che devono viaggiare, per alimentare le operazioni industriali di “just in time”, non c’è neanche più la scusa di dire che chiudendo la fabbrica “fordista e mettendo in cassa integrazione gli operai abbiamo salvato l’azienda. Basta che uno dei settori cruciali nella filiera produttiva sia stato arrestato dai decreti amministrativi di chiusura che tutta la struttura produttiva a valle ne risente per mancanza di forniture e trasporti e quindi le conseguenze della riduzione della produzione saranno sicuramente superiori a quelle contabilizzate dai politici.
Ora la proposta attendista, al ribasso e di compromesso dei Paesi del Nord Europa di attivare soltanto le risorse di tipo MES o condizionali o comunque di finanziare parzialmente e in maniera riottosa – vista la gaffe del presidente della Banca Centrale Europea – gli eventuali debiti pubblici che sfonderanno il patto di stabilità, avrà l’effetto di trasformare lo shock simmetrico in uno shock asimmetrico e strutturale a svantaggio dell’Italia.
Quindi logica vuole che la decisione di non voler agire come dice la teoria economica è una decisione politica sbagliata, se non subdola.
Alla ripresa del post-emergenza, il debito pubblico di un Paese come l’Italia andrà, se aumenta di 10 punti, dal 134 al 144% e allo stesso modo il debito pubblico dei Paesi come la Germania andrà dal 62 al 72%. Quindi lo spread aumenterà e così le condizioni di svantaggio per la nostra economia saranno aumentate perché i soliti noti e cioè le agenzie di rating, i soliti mercati considereranno il rischio del debito italiano superiore a prima, quindi con un aggravio delle condizioni di interesse cioè lo spread per il finanziamento del nostro sistema produttivo.
In questo senso, quindi, dilazionare le decisioni e non consentire alla monetizzazione del debito è un atto di guerra da parte dei paesi del nord nei confronti del nostro Paese.
Vedo già l’industria tedesca a sfregarsi le mani di soddisfazione pensando che alla ripresa avranno dato un altro colpo alla economia italiana.
Questo atteggiamento è di per sè ottuso e odioso: il moralismo del Nord Europa riguardo al nostro debito è un problema del passato, che in questa fase dovrebbe essere congelato.
Ecco perché occorrono quindi misure eccezionali e generose con uno spirito di collaborazione e di cooperazione internazionale.
Eppure, in passato i tedeschi nel gennaio 1962, guidati da Konrad Adenauer, aderirono al GAB (deciso dal Gruppo dei Dieci e istituito con decisione del Consiglio Direttivo del FMI), un istituto finanziario eccezionale per aiutare Paesi che da poco erano entrati nel sistema di Bretton Woods, ma che avevano problemi di restrizione dei flussi di capitale e, quindi, appunto di insufficiente finanziamento dell’investimento produttivo o delle esportazioni.
Eppure, in passato, a proposito di solidarietà internazionale, nel giugno del 1963, i tedeschi hanno ascoltato, Kennedy dire: ‘Io sono un berlinese”.
L’ultima offerta ai tedeschi per assicurare la pace e per salvare l’Unione Europea deve essere forte e chiara.
Niente eurobond, niente coronabond e niente MES.
Occorre, invece, istituire uno strumento finanziario eccezionale, alla americana, qui e subito.
I piani nazionali di sostegno varati dai singoli Governi per far fronte alla emergenza (sostegno di liquidità ai redditi individuali, sostegno alle piccole imprese, alle grandi imprese, compagnie aeree e di trasporto, ospedali e istruzione, alle imprese del terzo settore, ecc) vengono finanziati da emissioni speciali nazionali di titoli riservati alla ECB.
I titoli hanno 99 anni di scadenza e lo 0,01 percento di interesse. Sono garantiti dalla firma politica del Consiglio Europeo che – ex art. 15 del Trattato – dà all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali.
Come Kennedy allora, come sarebbe bello sentire oggi il Cancelliere tedesco dire a un ammalato in un ospedale spagnolo o italiano o francese: “Ich bin Europäer”!
di prof. Carlo Andrea Bollino
professore, energia, ordinario del Dipartimento di Economia dell’Università di Perugia e professione di economia dell’Eenergia all’Università LUISS
Membro del Comitato Scientifico CIU – Unionquadri