Alcune riflessioni sulle pensioni ed il ceto medio.
L’inflazione ha sicuramente decurtato le pensioni, sia di fascia bassa, sia quelle di fascia medio-alta: le prime hanno recuperato assai poco dai ritocchi decisi dal governo, le seconde per niente, di fatto sono bloccate.
Non si tratta, ovviamente, di legare l’importo della pensione al grado di inflazione, ma di ritoccare gli importi secondo una scala già peraltro fissata da accordi in sede ministeriale. La questione non è di poco conto poiché investe il modus vivendi della classe media, assai bistrattata in questi anni, tanto che qualche sociologo ha azzardato addirittura la sua scomparsa.
Va pure aggiunto che i pensionati, come tutte le categorie a reddito fisso, sono puntuali pagatori del fisco (alla fonte) e quindi sono una parte considerevole di quel 13% di italiani che pagano il 60% di tutti gli introiti fiscali.
La UIL per tali ragioni ha deciso di rivolgersi al giudice. “Abbiamo avviato cinque cause-pilota dice il segretario generale della Uilp, Carmelo Barbagallo contro il taglio della rivalutazione di tutte le pensioni di importo superiore a 4 volte il trattamento minimo Inps, che è pari a 2.101,52 euro mensili lordi, disposto dalla legge di Bilancio 2023. Vogliamo mantenere alta l’attenzione su questa ennesima ingiustizia, decisa oltretutto in un momento di forte crescita dell’inflazione. Interessa circa 3 milioni e mezzo di pensionati. Non è possibile che ogni volta che servono risorse si vadano a prendere dai pensionati. Naturalmente il nostro impegno è parallelamente rivolto anche alle pensioni di importo più basso, non c’è contraddizione in questa duplice difesa del potere d’acquisto”.
Le rivalutazioni delle pensioni sono state ulteriormente tagliate tra il 25% ed il 68%, penalizzando fortemente il 28% dei pensionati.
Si tratta di 3,5 miliardi di euro lordi (2,1 miliardi netti) che i pensionati medio-alti avrebbero dovuto ricevere e invece rimarranno fermi. Chi percepisce 3.600 euro lordi mensili alla fine dell’anno ne perderà oltre 1.427. Ancora peggio per chi riceve pensioni superiori.
Sono state cancellate le fasce di perequazione automatica che erano state previste dal governo Draghi e ne sono state introdotte ben sei che quasi azzerano la rivalutazione a chi prende una pensione più consistente del minimo.
Un pensionato con assegno superiore ai 100mila euro lordi l’anno ha perduto dal 2006 a oggi un’intera annualità a causa delle ripetute decurtazioni dell’adeguamento.
In particolare, il Sindacato lamenta che “Il criterio e l’entità (inadeguata e insufficiente) della perequazione della pensione per l’anno 2023, calcolata ed erogata dall’Inps, è manifestamente in contrasto con in principi fondamentali richiamati più volte dalla Corte Costituzionale, che anche nel 2020 aveva decretato che la perequazione delle pensioni dev’essere volta a garantire nel tempo l’adeguatezza dei trattamenti e a salvaguardarne il valore reale al cospetto della pressione inflazionistica”.
In effetti, la stessa Consulta in passato aveva affermato che: “L’eventuale introduzione da parte del legislatore di meccanismi limitativi della perequazione pensionistica incontra il limite, inderogabile e invalicabile, dell’osservanza dei principi di eguaglianza sostanziale ed è soggetta a rigorosi vincoli quantitativi, temporali, di proporzionalità e di ragionevolezza”.