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La tutela dei lavoratori negli appalti di logistica.

Il contratto di appalto è molto usato dalle imprese, specialmente nella forma dell’appalto di servizi. Nell’ordinamento italiano si è scelto di tutelare i crediti – compresi TFR, contributi previdenziali e premi assicurativi – dei lavoratori impiegati nell’appalto attraverso il meccanismo della responsabilità solidale tra appaltante e appaltatore.

In effetti, l’art. 29, comma 2 del d.lgs. 276/2003 stabilisce proprio come “in caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi”.

Nel corso degli anni si sono sempre più sviluppati, assumendo particolare importanza, gli appalti nel settore della logistica.

Preso atto del fenomeno, il legislatore è intervenuto con una specifica norma, l’art. 1677 bis c.c., in base al quale: “Se l’appalto ha per oggetto, congiuntamente, la prestazione di due o più servizi di logistica relativi alle attività di ricezione, trasformazione, deposito, custodia, spedizione, trasferimento e distribuzione di beni di un altro soggetto, alle attività di trasferimento di cose da un luogo a un altro si applicano le norme relative al contratto di trasporto, in quanto compatibili”.

Nella pratica era tuttavia sorto il dubbio se detta responsabilità solidale potesse operare con riferimento alle prestazioni lavorative relative alle attività di semplice trasporto di cose, in quanto al contratto di trasporto non trova applicazione la norma sulla responsabilità solidale negli appalti.

Il Ministero del Lavoro è quindi intervenuto con un interpello, il n.1/2022, chiarendo che anche nel caso di appalti di più servizi di logistica come descritti nell’art. 1677-bis c.c. trova applicazione la disciplina della responsabilità solidale prevista dall’art. 29 del d.lgs. 276/2003.

Tale conclusione deriva dalla considerazione secondo la quale la logistica rappresenta una peculiare ipotesi di contratto di appalto di servizi e perciò non risulta possibile escludere il regime di solidarietà sia perché l’esclusione sarebbe incoerente con la disciplina generale dell’appalto, sia perché introdurrebbe una irragionevole riduzione di tutela per il lavoratore impegnato nelle sole attività di trasferimento di cose dedotte in un contratto di appalto.

Sul punto va ricordato come era già intervenuta la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 254/2017, che aveva affermato la necessità di un’interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata dell’art. 29, comma 2, d.lgs. 276/2003, con la finalità di garantire ai lavoratori una tutela adeguata, evitando che i meccanismi di decentramento produttivo e di dissociazione fra titolarità del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione vadano a danno dei lavoratori.

CASSAZIONE – Non è sempre nullo il patto di non concorrenza con corrispettivo variabile.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 33424/2022, interviene in merito alla previsione di un patto di non concorrenza con un importo variabile a seconda della durata del rapporto di lavoro.

Nel dettaglio, l’importo era pari a € 10.000 all’anno per 3 anni, a fronte di un impegno di non concorrenza per 20 mesi dalla cessazione del rapporto; in caso di cessazione del rapporto di lavoro prima della scadenza del triennio, al dipendente non sarebbe spettato l’intero importo di € 30.000, bensì un importo collegato alla durata del rapporto di lavoro.

La Cassazione ricorda come il corrispettivo stabilito con il patto di non concorrenza, essendo diverso e distinto dalla retribuzione, deve possedere soltanto i requisiti previsti in generale per l’oggetto della prestazione dall’art. 1346 c.c. e, quindi, deve essere “determinato o determinabile”.

La variabilità del corrispettivo rispetto alla durata del rapporto di lavoro non significa che esso non sia determinabile in base a parametri oggettivi: devono quindi essere valutate distintamente la questione della nullità per mancanza del requisito di determinatezza o determinabilità del corrispettivo pattuito tra le parti e, poi, la verifica che il compenso, come determinato o determinabile, non sia simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore ed alla riduzione delle sue possibilità di guadagno.

CASSAZIONE – Superamento del comporto e discriminatorietà del licenziamento.

Con la pronuncia n. 2414/2022 la Corte di Cassazione precisa come sia comunque possibile ravvisare una finalità discriminatoria anche nel caso di un licenziamento basato su quello che a tutti gli effetti può essere considerato un motivo legittimo (come l’effettivo e non contestato superamento del periodo di comporto).

Nel dettaglio, si tratta di una pronuncia resa in un giudizio nel quale il lavoratore aveva dedotto l’illegittimità del licenziamento, formalmente intimato per superamento del periodo di comporto, argomentando dal fatto che la malattia era causalmente da collegare alla illegittima condotta datoriale, che il recesso era stato determinato da un intento ritorsivo e che era discriminatorio in quanto collegato all’attività sindacale svolta.

Secondo consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, la prova della unicità e determinatezza del motivo non rileva nel caso di licenziamento discriminatorio, che ben può accompagnarsi ad altro motivo legittimo ed essere comunque nullo (Cass. n. 28453 del 2018, Cass. n. 6575 del 2016).

Devono quindi essere tenuti il profilo in cui si assuma un motivo ritorsivo e quello in cui si denunzi il carattere discriminatorio del licenziamento, in relazione al quale l’esistenza di un motivo legittimo alla base del recesso datoriale non esclude la nullità del provvedimento ove venga accertata la finalità discriminatoria dello stesso.

Invero, solo nel caso di allegazione da parte del lavoratore del carattere ritorsivo del licenziamento e quindi di una domanda di accertamento della nullità del provvedimento datoriale per motivo illecito ai sensi dell’articolo 1345 c.c., occorre che l’intento ritorsivo del datore di lavoro, la cui prova è a carico del lavoratore, sia determinante, cioè tale costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale.

QUADRI ED ELEVATE PROFESSIONALITÀ NEL PUBBLICO IMPIEGO E NELLA CONTRATTAZIONE DELLE FUNZIONI CENTRALI E DEGLI ENTI LOCALI DOPO IL DL80/2021.

Concorsi pubblici, nel 2023 previste 156.400 assunzioni: ecco tutti i posti disponibili – Tra i prossimi concorsi anche il bando per 3.900 nuove assunzioni all’agenzia delle Entrate.

Buone notizie per chi cerca lavoro. Si riapre la stagione dei concorsi pubblici nel 2023, anno in cui sono previste 156.400 assunizioni nella pubblica amministrazione che rientrano nel ricambio del personale statale. Lo ha annunciato il ministro della funzione pubblica, Paolo Zangrillo. Questi posti si sommano a quelli dei concorsi stabiliti nella Legge di Bilancio tra forze dell’ordine, e impiegati dei ministeri della Giustizia, Esteri, Cultura e Agricoltura, per circa 10mila nuovi dipendenti. Il predecessore Renato Brunetta si era impegnato a mettere in organico 100mila persone ogni anno, per un totale di oltre un milione di assunzioni fino al 2026. Ecco tutti i concorsi.

Agenzia delle Entrate 3900 posti

All’agenzia delle Entrate sono previsti 3.900 nuovi posti tra quest’anno e il prossimo. Il primo concorso sarà per 60 assistenti informatici  ict (seconda area F3) con diploma di scuola secondaria di secondo grado. In arrivo anche un concorso per 1.644 funzionari di diverso ambito, dai tributari agli esperti in fiscalità internazionale, dai funzionari audit-protezione dei dati personali e funzionari in controllo di gestione.

Inps oltre 2mila assunzioni

Istituto nazionale di previdenza sociale invecce prevede assunzioni per 2.309 posti, per i quali si attendono i bandi. Nel 2024 posizioni aperte per 2.062 impiegati.

Gestione Pnrr

Inoltre per la gesitone e realizzazione del Pnrr sono stati reclutati 1000 esperti e 2800 tecnici, ma altre 12mila posizioni saranno sbloccate nei prossimi mesi nei concorsi banditi dal dicastero della Pubblica amministrazione e da Formez.

I concorsi nelle Regioni

I concorsi che riguardano il reclutamento del personale delle Regioni sono già stati banditi da Formez nel 2022 e si svolgeranno nel 2023. Si tratta di:

  • 282 ispettori e 80 collaboratori per la Regione Puglia,
  • 46 forestali per la Regione Sicilia,
  • 91 funzionari e 30 istruttori per la Regione Basilicata,
  • 310 funzionari per la Regione Calabria,
  • 73 per la Regione Piemonte,
  • 584 per la Regione Lazio.

Ministero della Cultura e Giustizia

Al ministero della Cultura è prevista l’assunzione di oltre 500 funzionari nel 2023 tra i quali 200 assistenti di area II (F2) e 100 funzionari di area III (F1). Si attende prossimamente anche il bando per i 1.092 posti di personale amministrativo non dirigenziale dell’Ufficio per l’esecuzione penale esterna (Uepe) annunciati dall’ex Guardasigilli, Marta Cartabia.

Altri 2.293 posti sono aperti per assistenti di area II destinati al ministero dell’Economia, dell’Interno e della Cultura, per la Presidenza del Consiglio e l’Avvocatura dello Stato, oltre a circa 2mila tirocinanti che dovrebbero trovare posto nei diversi uffici.

Attesi bandi per 55 funzionari alla Presidenza del Consiglio, 338 assistenti di area II al ministero delle Imprese e del Made in Italy, 298 funzionari al ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, 208 funzionari e 10 dirigenti al ministero degli Esteri.

Concorsi in via di conclusione

Nel 2023 si chiuderanno i concorsi già aperti per:

  • 296 funzionari di area terza riservati al Mef
  • 225 funzionari per l’ex ministero dello Sviluppo economico (ora delle Imprese e Made in Italy)
  • 264 assistenti, 69 funzionari e 18 dirigenti per il ministero della Difesa,
  • 1.043 funzionari di area terza per il Viminale.
  • 20 funzionari all’Autorità nazionale anticorruzione,

È in via di conclusione il concorso da 1.249 posti per l’assunzione di nuovi funzionari all’ispettorato del lavoro.

Forze dell’ordine e Vigili del Fuoco

Sono poi attese 11.228 nuove unità  tra forze dell’ordine e Vigili del Fuoco, ma si attende ancora la pubblicazione dei bandi in Gazzetta ufficiale annunciati dal Ministro Zangrillo lo scorso novembre.

Fino al 26 gennaio 2023 è possibile anche presentare domande per il concorso di 15 tenenti in servizio permanente effettivo nel ruolo tecnico-logistico-amministrativo. Infine entro il 2026 sarebbero previste circa mille assunzioni nelle file della Polizia penitenziaria.

Email impiegati, scudo privacy – I metadati non possono essere tenuti per più di sette giorni Il Garante ha ordinato alla Regione Lazio il pagamento di una sanzione da 100 mila euro.

Delegazione FAO incontra Delegazione CNEL – Villa Lubin – 13 Dicembre 2022 – ore 15.00

   

Dott. Qu Dongyu, Direttore Generale, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura  Prof Tiziano Treu Presidente CNEL   Dott. Maurizio Martina, Vice Direttore Generale, FAO   Dott. Godfrey Magwenzi, Capo di Gabinetto   Dott.ssa Hua Yang, Vice Capo di Gabinetto   Dott.ssa Gabriella Piacentini, Assistente Speciale del Direttore Generale  L’Ambasciatore Bruno Archi, Rappresentante permanente d’Italia presso la FAO   Dott.ssa Stefania Costanza, Vice Rappresentante permanente  Dott. Gianpaolo Gualaccini Consigliere CNEL   Dott. Francesco Riva  Consigliere CNEL  Coordinatore gruppo di lavoro  Sport Alimentazione Benessere del CNEL   Dott. Marco Ancora CIU-Unionquadri  Curatore Progetto Villa Lubin.

   

Notizie CESE: articolo in versione italiana del Prof. Maurizio Mensi, consigliere CESE in rappresentanza di CIU Unionquadri pubblicato su:

La sfida dell’innovazione per l’Europa del futuro[1]

Maurizio Mensi [2]

1.                 L’innovazione è un processo basato sull’interazione e la cooperazione tra diversi attori, pubblici e privati (centri di ricerca, università; aziende, organizzazioni e agenzie governative). Caratterizza un ecosistema fatto di conoscenze, competenze, capacità individuali e collettive alimentate dalla ricerca scientifica e dalle sue applicazioni. In quanto tale, concorre a definire il grado di sviluppo di un paese e incide sulla sua dimensione economica e sociale.

Alla base, la cultura dell’innovazione, che racchiude valori, norme e modelli di comportamento individuali e collettivi che stimolano tale processo. Comprende altresì spirito di iniziativa, pensiero creativo, versatilità, apertura e attitudine al cambiamento, capacità di reagire all’eventuale insuccesso e fiducia in sè stessi. Ad essi vanno aggiunti, quali elementi ulteriori, incentivi economici, un sistema educativo adeguato e un quadro regolamentare “future proof”.

Paesi come Israele hanno fatto dell’innovazione uno degli elementi qualificanti del proprio assetto economico e sociale, creando progressivamente un contesto favorevole alla ricerca teorica e applicata in grado di attrarre talenti e sviluppare e start-up, fattori abilitanti di competitività e benessere. In tal senso, la “politica dell’innovazione” è un concetto che abbraccia un’ampia gamma di strumenti e interventi ma soprattutto comporta l’adozione di un metodo scientifico che, come insegna la storia, ha favorito lo sviluppo di alcune aree del nostro continente, portandole a livello di welfare non più visti dalla Pax Augusta (la Gran Bretagna alla fine del ‘700, con l’avvento della rivoluzione industriale, fu il primo paese a recuperare i livelli di sviluppo economico e sociale già registrati agli albori dell’Impero Romano).

  1. La Commissione europea ha identificato per la prima volta negli anni ’60 l’innovazione come componente della politica di ricerca per rimediare al “paradosso europeo”, vale a dire una ridotta capacità di tradurre le scoperte scientifiche in successi industriali e commerciali. A partire dagli anni ’70, da tema legato allo sviluppo delle politica comunitaria in materia di ricerca si collega più strettamente alle politiche industriali e da processo lineare che traduce la conoscenza in prodotti diventa “modello di innovazione aperta”. Questo comprende sia le politiche chiave rivolte agli attori dell’ecosistema dell’innovazione (ricerca, politiche industriali e di formazione) sia gli strumenti che ne assicurano il successo (finanziamenti, tassazione agevolata, standard, diritti di proprietà intellettuale, ecc. .). Ne fanno parte integrante la politica regionale e di coesione insieme a quelle per il mercato unico e la concorrenza[3].

Nel 2000, l’adozione della Strategia di Lisbona fornisce un nuovo stimolo per la politica dell’innovazione dell’UE, con l’obiettivo di trasformare l’Europa tramite l’”economia della conoscenza”. A ciò si aggiunga che le azioni intraprese a sostegno dell’innovazione mirano a integrare le misure adottate dagli Stati membri e dalle regioni. Il principale problema è infatti quello della frammentazione legata ai differenti quadri normativi, anche in termini di governance e strumenti di intervento. E’ infatti agli Stati membri e alle regioni che sono affidate la maggior parte delle competenze in tema di politica dell’innovazione. In tal senso, occorre oggi un intervento di ridefinizione delle competenze ai vari livelli (UE, nazionale, regionale) per assicurare un migliore coordinamento. Ridurre il divario fra Stati e regioni anche nel sostegno offerto dalle politiche e dai fondi regionali UE è infatti essenziale per garantire che tutte le regioni dell’UE sviluppino il loro potenziale di innovazione e alcune di esse non risultino penalizzate.

  1. In tale contesto appare apprezzabile la nuova agenda europea per l’innovazione proposta dalla Commissione nel luglio 2022, con il suo duplice obiettivo di promuovere la competitività dell’Europa ed il benessere dei suoi cittadini colmando il persistente divario tra Stati membri e regioni, considerato (a ragione) pregiudizievole per la coesione sociale ed economica interna. Basti considerare che ad oggi le regioni che registrano i migliori risultati sono circa 10 volte più innovative di quelle meno efficienti e tale disdequilibrio ostacola un coerente e armonico sviluppo socio-economico a livello UE. Alquanto positiva in particolare la proposta di creare “valli regionali dell’innovazione” per rafforzare e collegare meglio gli attori dell’innovazione, anche nelle regioni in ritardo di sviluppo. Ciò potrebbe avvenire attirando e trattenendo i talenti in Europa tramite la formazione, assicurando un maggiore sostegno alle donne innovatrici e introducendo una nuova disciplina delle stock option per i dipendenti delle start-up. Significativa poi l’attenzione rivolta al ruolo delle donne e all’analisi dei dati relativi al genere e ai gruppi meno rappresentati. Promuovere l’occupazione delle donne nel settore dell’innovazione è infatti fondamentale per la competitività europea. Importante poi la proposta di dare la precedenza ai progetti di innovazione a livello interregionale legati alle principali priorità dell’UE (come la sostenibilità), con la partecipazione congiunta delle regioni meno e più innovative. Solo insieme si vince.

[1] Versione italiana dell’articolo pubblicato su TERRITORIALL, the ESPON magazine, Regional Innovation, Issue 8, dicembre 2022, pag. 16.

[2] Membro del Comitato economico e sociale europeo in rappresentanza di CIU-Unionquadri, relatore del parere INT/996, “Una nuova agenda europea per l’innovazione”

[3] Si veda in proposito l’ampia disamina in “A new European innovation agenda”, EPRS (European Parliamentary Research Service), C. Evroux, settembre 2022.