Rassegna stampa

«Authority, una gestione monarchica» – Ciu Unionquadri: evitato qualsiasi confronto costruttivo con i lavoratori, Monassi ha creato un clima da Medioevo di Silvio Maranzana.

«Authority, una gestione monarchica»
Ciu Unionquadri: evitato qualsiasi confronto costruttivo con i lavoratori, Monassi ha creato un clima da Medioevo di Silvio Maranzana

16 luglio 2014
Stavolta cova dall’interno la rivolta contro Marina Monassi. Evidentemente non è una lotta politica quella che si gioca attorno all’Autorità portuale se i “quadri” dell’ente, «dopo innumerevoli inutili tentativi di instaurare un dialogo» hanno diffuso ieri una nota di fuoco contro la presidenza in cui si denuncia che «un clima da Medioevo è stato creato all’interno della Torre del Lloyd». Il comunicato è di Ciu Unionquadri, sigla alla quale aderiscono, come spiega il delegato Sergio Nardini, 17 dei 32 “quadri” dell’Authority, «ma rappresenta un malessere ben più diffuso – spiega Nardini – anche tra molti degli altri oltre che dei 39 impiegati». «Da inizio 2011 (momento dell’insediamento di Monassi, ndr.) a oggi – denuncia dunque la Ciu attraverso il segretario regionale Giuliano Veronese – ogni atto che riguarda la gestione del personale dell’Apt è stato adottato in maniera autonoma, quasi monarchica verrebbe da dire».
La Ciu rileva come appaiano «evidenti i limiti sia in termini di ordinaria amministrazione, sia in termini di programmazione del futuro, sia in termini di amministrazione delle società partecipate, sia in termini di collaborazione con altre realtà istituzionali, economiche e sociali del territorio». Secondo i dipendenti, l’amministrazione Monassi ha «deliberatamente e ripetutamente evitato un confronto costruttivo con i lavoratori. È mancato soprattutto un costante rapporto informativo/comunicativo chiaro che enucleasse la strategia, i fabbisogni in termini di personale (correnti e futuri), le relative competenze. Sono mancate le scelte di amministrazione sulle politiche di gestione delle risorse umane e sull’organizzazione interna».
Il terreno di scontro non si basa su considerazioni teorico-generali, ma si addentra in casi concreti: «Come si spiega – sottolinea la nota – in tempi di revisione della spesa pubblica, la spiccata propensione ad affidare incarichi all’esterno secondo accordi economici che appaiono in maniera non esaustiva o comunque “poco leggibile” sul sito web del porto forse troppo popolato da spotlight autocelebrativi più adatti a un blog elettorale che a un sito istituzionale? Come si spiega il caso di una nuova collaboratrice che sta prestando servizio all’interno dell’ente senza che le organizzazioni sindacali ne siano state preventivamente informate? Come si spiega l’opacità nella gestione delle partecipate di cui non risulta se ne parli in Comitato portuale e di cui l’Ente dichiara di voler cederne il controllo al mercato? Come si giustifica un trasloco del personale al Magazzino 26 del Porto Vecchio, senza un’adeguata
 e preventiva valutazione-comunicazione dei costi e delle ripercussioni che graveranno sull’organizzazione del lavoro e che dovrebbe essere realizzato, a nostro avviso, con criteri più partecipativi e di responsabilità?» Riguardo al trasferimento dopo l’annuncio in una nota della stessa presid

ente, come riporta Nardini «è calato il silenzio se si escludono voci non controllate su ipotetiche misurazioni e studi per le reti telematiche al Magazzino 26». «Abbiamo assistito – scrivono ancora i “quadri” – a trasferimenti non motivati di risorse umane. Ma, soprattutto, abbiamo assistito a una preoccupante chiusura e/o assottigliamento di alcuni servizi e settori, originariamente sorti per far fronte a precisi compiti e specifiche responsabilità previste dalla legge costitutiva, senza una chiara definizione d’alternativa strategica».
«Considerare il porto come organismo personalistico, che si relaziona solo con pochi privilegiati e finisce per tessere legami a dir poco instabili con il territorio circostante – conclude la Ciu – è attuare una strategia miope, non più praticabile, certamente destinata a fallire nel breve periodo anche e soprattutto in virtù delle strategie messe in campo dai competitor. A meno che ciò non sia precisamente la volontà (suicida?) di chi amministra il bene pubblico “porto di Trieste”».

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