“Il CNEL ha già segnalato in più occasioni, attraverso numerosi seminari e pubblicazioni scientifiche, che nella gig economy le funzioni di datore di lavoro non sono svolte da un soggetto organizzato verticalmente ma, dalla piattaforma digitale che permette la gestione dei rapporti di lavoro che a essa sono collegati. Il ragionamento sulle tutele applicabili ai gig workers potrebbe muovere non solo dai cambiamenti che l’avvento della gig-economy ha determinato nella figura del prestatore di lavoro ma anche dal mutamento della nozione di datore di lavoro”.
Lo ha detto il presidente del CNEL, Tiziano Treu, nell’audizione odierna nell’ambito dell’esame della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali innanzi, innanzi alla Commissione Lavoro della Camera alla quale è intervenuto anche il consigliere CNEL Michele Faioli. Ai lavori ha partecipato anche il segretario generale del CNEL Mauro Nori.
“Negli studi compiuti, il CNEL segnala che occorre evitare di incasellare per legge in modo rigido un lavoro che può assumere nella realtà molte varianti. Inoltre, nei più recenti studi giuslavoristici e nei tentativi di regolazione, legislativa e contrattuale, in materia di gig-economy, il problema posto riguarda prevalentemente la qualificazione del lavoro svolto dai riders, lavoro autonomo vs lavoro subordinato. Ma ciò non basta. Bisogna andare oltre. Il problema della qualificazione del lavoro non è sufficiente per comprendere il fenomeno. La gig-economy è una forma di matchmaking tra domanda e offerta di lavoro. Ci sono opportunità di lavoro, offerte mediante piattaforma digitale, che consentono una certa conoscibilità del mercato del lavoro e, dunque, maggiori occasioni di accesso al lavoro. Il che, spesso, si combina con esigenze personali di flessibilità e, in altre circostanze, purtroppo, si declina con forme di precarietà, anche esistenziali”, ha aggiunto il presidente Treu.
“Con la proposta di direttiva del 2021 si aprono una serie di scenari nuovi. In primo luogo, la direttiva dovrebbe allineare la propria definizione con l’assetto normativo che si sta sviluppando a livello europeo in materia di intelligenza artificiale e di servizi/mercato digitale. Ma la cosa comporta molti problemi. L’armonizzazione tra norme europee è il presupposto per un buon funzionamento del mercato in cui operano anche le piattaforme digitali che intermediano lavoro – ha sottolineato il presidente del CNEL – La giusta concorrenza tra operatori del mercato digitale, europeo e transnazionale, non è da intendersi come un corollario delle tutele giuslavoristiche. Più e meglio si incide su tali discipline della concorrenza, maggiori saranno i benefici per tutti, anche i consumatori e i lavoratori. La proposta di direttiva riabilita un meccanismo giudiziale che permetterebbe al lavoratore di chiedere al giudice di intervenire per riqualificare il rapporto di lavoro come subordinato. Se da una parte questo crea maggiori possibilità di esercitare i propri diritti, dall’altra non segue l’impostazione preventiva della lite che l’Accordo Quadro Europeo sul lavoro digitale del 2020, sottoscritto da tutte le parti sociali, prevede”.
“L’Accordo Quadro punta essenzialmente su procedimenti di informazione e consultazione che permettono ai rappresentanti dei lavoratori di predisporre tutele adeguate allo specifico caso e ritagliate sulle esigenze dei lavoratori, fermo restando un assetto generale di principi condivisi da tutti (tutela della dignità personale, prospettiva persona-centrica, etc.). La proposta di direttiva non valorizza sufficientemente il ruolo delle rappresentanze sindacali neanche nella sezione che attiene ai diritti sull’accesso all’algoritmo (art. 6 ss.): si tratta di diritti individuali, rimessi all’esercizio di ciascun lavoratore. Il che non supporta la contrattazione collettiva e la partecipazione strategica nella materia delle piattaforme, creando spazio per contenziosi lunghi e spesso complicati. La proposta di direttiva potrebbe rendere più sinergica la collaborazione tra autorità garante della privacy, a cui sono assegnate una serie di funzioni, e ispettorati del lavoro”, ha concluso Treu.