TREU: L’EMERGENZA SANITARIA HA ALTERATO IL MERCATO DEL LAVORO.
Il mercato del lavoro all’inizio del 2021 presenta più ombre che luci. Se i dati più drammatici riguardano l’occupazione giovanile con 2 milioni di Neet e quella femminile, già in una situazione critica pre-covid, con quasi una donna su due inoccupata, che si è ridotta di quasi 2 punti percentuali, non destano minore preoccupazione il mancato rinnovo dei contratti per oltre 10 milioni di lavoratori (77,5% del totale), l’inadeguatezza del sistema scolastico e formativo nella formazione delle competenze, l’aumento della povertà e delle disuguaglianze. La situazione è destinata molto probabilmente ad accentuarsi e diventare ‘esplosiva’ con l’interruzione della cassa integrazione e la fine del blocco dei licenziamenti. Si teme che una parte degli esuberi verrà sicuramente ‘assorbita’ dall’economia sommersa non riuscendo a trovare un’occupazione in regola andando ad aumentare la quota già aumentata negli ultimi anni di lavoro nero. La crisi conseguente alla pandemia ha colpito circa 12 milioni di lavoratori tra dipendenti e autonomi, per i quali l’attività lavorativa è stata sospesa o ridotta, in seguito al lockdown deciso dal Governo per limitare l’aumento esponenziale dei contagi.
È la fotografia che emerge dal “Rapporto sul Mercato del lavoro e la contrattazione 2020” del CNEL che sarà presentato martedì 12 gennaio alle ore 11 nell’ambito di un’assemblea tematica in collegamento telematico presieduta dal Presidente Tiziano Treu che presenterà il documento, a cui interverranno la Ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali, Nunzia Catalfo, e il Director, Employment, Labour and Social Affairs, OECD, Stefano Scarpetta
Nel documento che è articolato in 15 capitoli ed è giunto alla 22a edizione, quest’anno spazio anche ad analisi sul lavoro degli immigranti, divenuto significativo nel panorama italiano e a quello dei disabili.
“La crisi prodotta dal Covid e dai provvedimenti adottati per contrastare l’emergenza sanitaria ha alterato in profondità il funzionamento del mercato del lavoro come dell’economia, con impatti diversificati per settori, per territori e per gruppi sociali, allargando divergenze e diseguaglianze storiche. Le fratture provocate da questa pandemia seguono linee diverse da quelle presenti in altre crisi, perché non sono correlate con gli usuali parametri economici bensì alle connotazioni strutturali e organizzative che determinano la maggiore o minore esposizione di ciascuna realtà al rischio di contagio. Infatti, gli impatti più gravi si sono verificati non nelle attività manifatturiere, ma in settori ad alta intensità di relazioni personali come il turismo, la ristorazione, le attività di cura, e i servizi in genere”, afferma il Presidente Tiziano Treu, che ha curato l’introduzione del Rapporto.
“La pandemia ha messo in evidenza non poche falle nel nostro sistema di protezione sociale, sia negli ammortizzatori (CIG e Naspi) nonostante la riforma del 2015 avesse provveduto a una loro estensione, sia nel più recente reddito di cittadinanza che doveva fornire un aiuto economico ai poveri e, in ipotesi, ad aiutare quelli abili al lavoro a trovare occupazione. La esplosione del lavoro digitale a distanza ha modificato i luoghi e il tempo delle attività umane. È cresciuta la interdipendenza fra lavoro salute e contesto ambientale. Si è resa, per questa via, evidente la necessità di integrare fra loro politiche del lavoro, istituti della salute e cambiamenti del contesto socioeconomico. L’importanza di questi nessi sarà indicata nel nostro rapporto”, aggiunge ancora l’ex Ministro del lavoro.
“L’impatto della pandemia nei vari Paesi, e spesso nei diversi territori, ha mostrato differenze legate principalmente alla capacità dei sistemi sanitari di affrontare l’emergenza, la cui efficacia ha contribuito a limitare la durata degli interventi più restrittivi come il lockdown. È questa una conferma della necessità di mettere in atto politiche e interventi coordinati in due settori storicamente divisi come sanità e lavoro. Gli ambiziosi obiettivi di carattere economico indicati dalla transizione digitale e ambientale devono essere accompagnati da misure altrettanto ambiziose per la innovazione sociale e nel modo del lavoro. L’urgenza di rafforzare le misure sociali di accompagnamento alle persone nelle transizioni è testimoniata dalle ricerche, comprese recenti analisi condotte dal Censis per il CNEL, ove si mostra come le prospettive di ripresa sociale e personale dalle ferite della pandemia siano più complesse dei processi di mera ricostruzione economica e richiedano quindi misure altrettanto complesse di protezione e di promozione umana”, conclude Treu.
Di seguito alcuni passaggi del Rapporto.
GIOVANI
L’Italia si trova oggi davanti a un drammatico bivio. Da un lato c’è un sentiero stretto e in salita che porta ad una nuova fase di sviluppo economico e sociale. Sull’altro lato c’è un’ampia strada che va verso il declino. Il peso del debito pubblico, assieme a quello degli squilibri demografici, in combinazione con quello dei NEET (i disoccupati più gli inattivi non in formazione), ci sbilancia fortemente verso la seconda strada. Su tutti questi fronti, come ben noto, l’Italia occupa le posizioni peggiori in Europa, ma sono anche gli stessi su cui si concentrano le maggiori preoccupazioni rispetto al peggioramento prodotto dalla pandemia. Quando l’emergenza sarà passata ci troveremo, in positivo, con una maggiore attenzione alla salute pubblica, ma anche, in negativo, con la peggiore combinazione – in Europa e nella nostra storia repubblicana – di alto debito pubblico, bassa natalità, bassa presenza degli under 35 nel sistema produttivo italiano.
Lo scarso investimento pubblico sulle nuove generazioni (in particolare la parte che va efficacemente a rafforzare la loro formazione e l’inserimento solido nel mondo del lavoro) è il principale nodo che vincola al ribasso le possibilità di crescita italiane, da sciogliere prima ancora che sul piano del rapporto tra giovani e lavoro, su quello più alto del ruolo delle nuove generazioni nel modello di sviluppo del Paese. Se non si inverte questa tendenza non solo si pregiudicano le prospettive economiche del Paese, ma si rischia di alterare in profondità il patto fra le generazioni che è un elemento costitutivo dell’assetto sociale, della sua equità e stabilità. Non si tratta ora solo di contenere il peggioramento prodotto dalla pandemia sulle condizioni degli attuali e futuri entranti nel mondo del lavoro. Va prima di tutto capito cosa non funzionava in Italia prima della crisi sanitaria nella capacità di preparare bene le nuove generazioni, all’altezza delle sfide dei propri tempi, inserirle in modo efficace nel mondo del lavoro, valorizzare il loro capitale umano nel sistema produttivo.
Il tasso di disoccupazione ha il limite di non prendere in considerazione chi si scoraggia e non cerca più attivamente lavoro o chi, in ogni caso, decide di sospendere la propria attività di ricerca di un lavoro dipendente o è in attesa delle condizioni di avvio di una attività autonoma. Il tasso di NEET (Neither in Employment nor in Education or Training) include anche tali categorie di persone. Il valore di questo indicatore nella fascia tra i 25 e i 34 anni – fase della vita cruciale per la costruzione dei progetti di vita – era pari a 23,1% nel 2008, all’inizio della Grande recessione, mentre risulta pari a 28,9% nel 2019 (a fronte di una media europea pari al 17,3%). Dal Rapporto emerge “la persistente debolezza dei percorsi formativi e professionali”. Sul lato della formazione, i dati Eurostat mostrano come l’Italia da tempo presenti una delle più basse percentuali di 15enni con competenze considerate indispensabili per costruire percorsi solidi di vita e lavoro nel XXI secolo. Bassa è anche l’incidenza di laureati (27,6% nella fascia 30-34 rispetto all’obiettivo europeo di salire, sempre entro il 2020, oltre il 40%). Inoltre, la quota di ragazzi tra i 18 e i 24 anni che non hanno completato la scuola secondaria superiore (early leavers) è scesa nella prima parte del decennio scorso da oltre il 18% a valori attorno al 14%. La necessità di chiudere le scuole nel corso del 2020 ha costretto a garantire l’istruzione con strumenti nuovi, coerenti con la didattica a distanza. Questo passaggio è stato condotto in condizione di emergenza e ha dovuto confrontarsi con l’impreparazione di tutto il sistema educativo (scuole, insegnanti, genitori, alunni) sia rispetto a struture e strumenti (dispositivi e connessione), sia rispetto a competenze tecniche, sia rispetto a come reimpostare il processo di apprendimento con nuove modalità di interazione e di trasmissione di contenuti, oltre che con una rivoluzione delle coordinate spazio-temporali. Si è trattato, di fatto, dell’adozione di una tattica difensiva della didattica tradizionale attraverso modalità a distanza, che ha consentito di non bloccare la frequenza delle lezioni, ma ne ha ridotto complessivamente la qualità e ha esposto ad una forte crescita del rischio di dispersione scolastica. Con la conseguenza di inasprire non solo le diseguaglianze generazionali ma anche quelle sociali.
DONNE
Le donne hanno pagato il prezzo più alto della crisi in quanto impegnate a ricoprire ruoli e a svolgere lavori più precari, soprattutto nei servizi. Le donne non sono un soggetto svantaggiato. Sono la metà del mondo, la battaglia per l’uguaglianza di genere non può essere più solo un punto di un programma politico aggiunto ma deve essere al centro di azioni concrete creando vantaggi economici, sociali e culturali per l’intero Paese. Tutti i dati confermano che la condizione della donna lavoratrice è penalizzata soprattutto dalla difficile conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. È questa difficoltà che contribuisce a mantenere la quota di occupazione femminile (meno del 50%) al di sotto delle medie europee. Tale dato si è aggravato nel corso della pandemia senza che il ricorso allo Smart working abbia giovato a correggerlo, perché esso è stato limitato dall’aggravio di compiti familiari, specie sulle donne con figli impediti di frequentare le scuole. Per lo stesso motivo si spiegano il crollo della occupazione femminile e la crescita del tasso di disoccupazione in occasione della maternità per le donne indotte a lasciare il lavoro per prendersi cura dei figli. Su questa base il CNEL ha più volte sottolineato come per promuovere la occupazione femminile non bastino politiche di incentivazione economica alle assunzioni, ma serva anzitutto allargare la offerta di servizi, non soltanto asili nido, ma scuola a pieno tempo e servizi per gli anziani, nonché promuovere forme organizzative del lavoro più favorevoli alla conciliazione. Nell’occupazione femminile giocano un ruolo fondamentale i percorsi formativi. La minore frequenza con cui le ragazze scelgono percorsi di studio nelle materie STEM rispetto ai maschi comporta conseguenze sia nel breve sia nel lungo periodo: se infatti nel breve periodo la componente femminile è meno presente nei percorsi di studio più richiesti e meglio remunerati dalle imprese, nel lungo periodo sono proprio i settori STEM che presentano le maggiori prospettive di crescita.
IN FUTURO IMPOSSIBILE SEPARARE LAVORO E SALUTE.
La diversità di questa crisi e la pervasività delle sue implicazioni incidono anche sul modo di analizzare le questioni del lavoro, non solo perché il lavoro è al centro della vita sociale ed economica, ma perché hanno accentuato le connessioni fra i vari aspetti delle vicende economiche e sociali. Oggi meno che mai le questioni del lavoro, anche quelle su aspetti specifici non possono leggersi e affrontarsi in modo separato dal contesto, non solo quello macroeconomico nazionale e internazionale, ma anche quello sociale, ambientale e in questi mesi sanitario. Tale necessità è riconosciuta anche da varie organizzazioni internazionali le quali suggeriscono di considerare i princìpi generali e le pratiche dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e delle direttive europee sulla salute nei luoghi di lavoro, non come regole isolate, ma come componenti integranti della programmazione del lavoro e della sua organizzazione nei diversi contesti ove si svolge. Questo è un insegnamento fondamentale che ci deve guidare non solo nelle scelte da fare nel corso della pandemia, ma per ripensare la configurazione dei luoghi e delle modalità del lavoro alla luce dei principi fondamentali stabiliti per la garanzia della sicurezza e salute delle persone che lavorano. Questi principi hanno un ambito di applicazione che comprende gran parte delle decisioni pubbliche e private susseguitesi nel corso dell’anno, perché esse sono tutte segnate dall’obiettivo di prevenire e contrastare il diffondersi della epidemia e di proteggere imprese e lavoratori dai contraccolpi sulle attività economiche”.
AUMENTO POVERTÀ E LAVORO NERO
Le vicende del mercato del lavoro sono state dominate quest’anno, come molte della nostra esistenza, da due questioni che hanno sovrastato tutte le altre, la protezione della salute dal contagio e la continuità del reddito e della occupazione. Sulla base dei nostri calcoli circa 5,3 milioni di famiglie risultano avere un ISEE minore di 9.360 euro annui. L’eccezionalità e l’imprevedibilità delle conseguenze derivanti dall’emergenza epidemiologica Covid-19 hanno comportato la necessità di porre in essere una serie di misure di contenimento e di contrasto al contagio senza precedenti, nonché di conseguenti interventi al fine di sostenere lavoratori, famiglie e imprese.
CONTRATTI SCADUTI
Il mondo del lavoro privato appare oggi caratterizzato da una molteplicità di soggetti (datoriali e sindacali) che fondano la propria rappresentatività sulla periodica autodichiarazione di dati concernenti la consistenza associativa, la diffusione territoriale e l’attività svolta e che, su tali basi, sottoscrivono tra loro accordi collettivi nazionali in tutti i settori produttivi, per poi depositarli a norma di legge presso l’Archivio nazionale dei contratti collettivi di lavoro istituito presso il CNEL. La frammentazione del panorama negoziale in Italia si è accentuata rispetto a qualche anno fa. Al 30 settembre 2017 presso l’Archivio risultavano censiti 868 accordi nazionali di settore “vigenti”, al 30 giugno 2020 quelli depositati formalmente nell’Archivio Nazionale Contratti del CNEL sono diventati 935.
Gli 856 relativi al settore privato risultano applicati da 1.516.060 imprese a 13.272.629 lavoratori dipendenti. Ma si precisa che un numero molto ridotto di CCNL disciplina la stragrande maggioranza dei rapporti di lavoro: infatti, i 60 CCNL prevalenti nei dodici settori ove sono disponi bili i dati sui lavoratori coperti, si applica al 89% di tutti i lavoratori dipendenti; mentre i restanti 796 contratti nazionali risultano applicati solo all’11% della platea dei dipendenti come ricavabile dalle dichiarazioni allegate ai CCNL depositati. “Ad ottobre il numero di occupati risultava del 3% inferiore rispetto a gennaio. A fronte di una sostanziale tenuta del numero di dipendenti a tempo indeterminato (per i quali vale il richiamato divieto di licenziamento), si rileva una diminuzione del 3% dei lavoratori indipendenti e soprattutto una marcata contrazione dei lavoratori dipendenti a tempo determinato, pari al 10% (grafico 1); il numero di occupati è diminuito del 2% sia tra gli uomini sia tra le donne; il numero dei giovani occupati (con meno di 34 anni) diminuisce del 4%; i più giova ni rappresentano la classe di età che maggiormente ha subito i contraccolpi del virus e delle conseguenti misure di contenimento”.
AMMORTIZZATORI SOCIALI. LA PROPOSTA UNITARIA DI SINDACATI E FORZE PRODUTTIVE
Il test della crisi ha confermato la necessità di rispondere alle necessità di protezione manifestate dal mondo del lavoro con una revisione complessiva del sistema degli ammortizzatori sociali, non solo la CIG ma la NASPI, e non solo per i lavoratori dipendenti. In relazione ai possibili sviluppi del sistema degli ammortizzatori sociali a regime, il CNEL ha raccolto una proposta unitaria di CGIL, CISL e UIL, insieme a posizioni parzialmente diverse di Confindustria, Confcommercio, Confartigianato, Confservizi e ABI. Elemento comune alle diverse posizioni risulta essere il raggiungimento della garanzia del sostegno al reddito – secondo modalità diversamente espresse dalle parti e dai settori produttivi – per le sospensioni o riduzioni dell’attività lavorativa di tutti i lavoratori dipendenti, compresi quelli delle microimprese. Si percepisce anche un’attenzione ai lavoratori autonomi, quanto meno alle fasce deboli della categoria. Nel corso dei confronti che si sono svolti nell’ambito del gruppo di lavoro sono emerse anche le esigenze di semplificazione delle procedure per accedere agli ammortizzatori sociali, non solo a quelli espressamente previsti per affrontare la crisi pandemica, e soprattutto di deciso potenziamento delle politiche attive del lavoro, che devono affiancare le politiche passive al fine della effettiva riqualificazione delle competenze dei lavoratori. E’ anche emersa l’esigenza di affiancare la riforma degli ammortizzatori sociali con strumenti di sostegno a processi di ricambio generazionale e di invecchiamento attivo, soprattutto in vista dei nuovi processi lavorativi, indotti anche dalle misure di contenimento della pandemia, i cui effetti sull’organizzazione della produzione e dei servizi sono destinati, almeno in parte, a diventare strutturali.
Occorre aprire un confronto tra governo e parti sociali per rafforzare gli strumenti degli ammortizzatori sociali a regime, in modo da avere, quando la crisi Covid sarà superata, un sistema a copertura universale, solidale e più inclusivo, a garanzia di tutte le lavoratrici e lavoratori, sostenuto in maniera graduale da un finanziamento il più possibile omogeneo e coerente con le specifiche vocazioni produttive, principalmente di tipo contributivo e solo parzialmente sorretto dalla fiscalità generale. Tutte le lavoratrici e lavoratori, subordinati e non, devono poter contare su una assicurazione contro il rischio di perdita del reddito a seguito di sospensione o riduzione dell’attività.
FONDI EUROPEI
Un capitolo nuovo analizza entità e uso dei fondi europei contenenti incentivi alle imprese per le assunzioni. un insieme imponente di risorse a disposizione specie del Mezzogiorno, che fra il 2015 e 2019 ha beneficiato un gran numero di aziende e di lavoratori di quei territori e finanziato fra l’altro le assunzioni della garanzia giovani. Si rileva che i contratti incentivati manifestano una buona tenuta nel tempo, ma non aiutano a correggere le tendenze del mercato, in particolare i divari di genere che vanno a scapito della occupazione femminile, e producono effetti non univoci sulle decisioni delle imprese relative alle assunzioni.
Scarica il XXII Rapporto sul Mercato del lavoro e la contrattazione (versione che sarà presentata in Assemblea)
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