Analisi del Prof. Carlo Andrea Bollino – Membro del Comitato Scientifico CIU – Unionquadri.
UE: PERCHÉ LA POSIZIONE TEDESCA EQUIVALE A UNA DICHIARAZIONE DI GUERRA
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L’emergenza in corso, che si sta affrontando con una serie di provvedimenti nazionali privi di coordinamento a livello Ue e dalle forti implicazioni degenerative, rischia di compromettere l’intero progetto europeo. Il CNEL ritiene che la grave crisi in atto obblighi gli Stati membri a realizzare sin da subito un nuovo spazio europeo comune in grado di rispondere con velocità ed uniformità alla variabilità di scenario che caratterizzerà sempre più marcatamente il mondo globalizzato, dai punti di vista economico e sociale così come sanitario ed ambientale”. Lo scrive il CNEL nel documento dal titolo “Appello all’Europa. Occasione unica per una nuova identità”, redatto dalla III Commissione Politiche UE e cooperazione internazionale presieduta dal vicepresidente Elio Catania e approvato all’unanimità in Consiglio di Presidenza, che si è riunito in videoconferenza ieri sotto la presidenza del presidente Tiziano Treu, alla presenza del segretario generale Paolo Peluffo.
Tre i provvedimenti urgenti che deve adottare l’Unione Europea secondo il CNEL:
1. L’emissione di debito garantito da tutti gli Stati europei (Eurobond) che, proprio perché comune, può ragionevolmente essere percepito come strumento di alta qualità finanziaria sui mercati globali e appare idoneo a contenere rischi che diventeranno sistemici. Ancor di più, l’introduzione di un simile strumento su base stabile e strutturale, supportato da un bilancio europeo autonomo dell’eurozona, darebbe impulso al processo di governo del debito e alla sostenibilità economica.
2. L’iniezione di liquidità diretta (helicopter money) per dare ossigeno all’economia reale in sofferenza.
3. Superamento definitivo, non la mera sospensione, del patto di stabilità per sostenere le grandi scelte strategiche di crescita economica e coesione, pur sempre in una prospettiva di equilibrio finanziario. Un appello forte, quindi, che le parti sociali nazionali ed europee rivolgono ai Paesi perché l’Unione esca da questa drammatica fase con la consapevolezza che occorre rivedere i propri modi operativi, per essere capace di gestire shock di mercato, ambientali e sociali, nei confronti dei quali l’assetto esistente si è dimostrato inadeguato.
“La situazione che gli Stati europei si trovano improvvisamente a fronteggiare costituisce paradossalmente, un’opportunità, una necessità storica per ripensare l’Europa – osserva il vicepresidente Catania – conservando lo spirito di fondo del grande progetto di unificazione, ma rimettendone in discussione il funzionamento istituzionale e adeguandone la capacità di mettere in campo strategie comuni e politiche efficaci – si legge ancora nel documento CNEL – L’Unione è di fronte ad un crocevia pieno di rischi. Ma va colta l’opportunità. Riflettere sul futuro dell’Europa, darsi una visione e dotarsi degli strumenti per realizzarla è indispensabile. Per rimettere in gioco il quadro europeo, scongiurare il rischio politico di disaggregazione e di crisi della tenuta democratica. L’urgenza del momento impone scelte rapide e con effetto immediato”.
È l’Ufficio Parlamentare di Bilancio a certificare – in un documento presentato al Senato – le dimensioni degli interventi avviati per fare fronte alla crisi che si sta concretizzando, un giorno dopo l’altro. Diciamolo subito – e ci torneremo più avanti: questa crisi è diversa da tutte le altre che sono state affrontate nel passato. Ha un qualche – ma non simmetrico – precedente nelle conseguenze delle grandi vicende belliche. Ma non è la stessa cosa. Il mondo si trova a fronteggiare una crisi economica globale innescata da una pandemia. Una cosa, semplicemente, mai vista. E che richiede, quindi, una reazione mai vista.
Partiamo dai numeri dell’Upb. L’Italia ha cominciato a impegnare 13 miliardi e mezzo di euro in un mese per difendere, con gli ammortizzatori sociali, quasi 9 milioni e mezzo di lavoratori. Si tratta sia degli strumenti tradizionalmente utilizzati, sia dell’estensione della Cassa integrazione in deroga alle imprese anche con un solo dipendente. Ma, segnala l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, per ora, sono rimasti fuori da tali tutele quasi due milioni di lavoratori domestici e saltuari. Poi, aggiungiamo, al conto va sommato lo strumento attivato per il sostegno al lavoro autonomo. Cifre, dunque, del tutto inedite, permesse dalla clausola di emergenza del Patto di Stabilità che dà modo ai Governi di spendere in deficit al di fuori di tutti i vincoli del Patto stesso.
Pubblichiamo l’editoriale di Francesco Saraceno, membro del Consiglio Scientifico della Luiss sul futuro dell’economia.
Insomma, fin dall’inizio molti hanno giustamente notato che di fronte all’emergenza sanitaria l’aumento del debito pubblico non fosse un problema. Salvare vite non ha prezzo. Ora Draghi aggiunge la sua autorevole voce a quella di chi nota come anche salvare l’economia non abbia prezzo. Io stesso ne ho parlato qualche giorno fa.
Si potrebbero aggiungere altre considerazioni, per completare e rafforzare l’argomento di Draghi. Intanto, val la pena di ricordare che lo Stato non deve “ripagare” il debito, ma solo rifinanziarlo a scadenza. Questo vuol dire che anche livelli elevatissimi di debito non sono un problema fin tanto che gli Stati saranno in grado di coprire le spese per gli interessi, e che manterranno lo stock su livelli più o meno costanti. Questo è tanto più vero quando l’aumento del debito è di proporzioni tali da rendere impensabile il ricorso ad austerità e avanzi primari per ridurlo (anche se temo che qualche economista tedesco lo chiederà a gran voce). Molti usano, un po’ a sproposito a dire il vero, la metafora della “guerra” contro il virus. Bene, è il caso di rimarcare che dopo la seconda guerra mondiale il debito non è stato “ripagato”, ma solo progressivamente riportato a livelli “normali”, da una combinazione di crescita e inflazione (sono istruttivi ad esempio il caso inglese e quello americano). Occorre quindi interrogarsi su come garantire che gli Stati saranno in grado di rifinanziare un debito che sarà aumentato probabilmente di 20 o 30 punti di Pil. Sarà cruciale che i tassi d’interesse rimangano bassi (cosa che secondo molti dovrebbe verificarsi, vista l’abbondanza di risparmio a livello globale).
Nella zona euro, poi, occorrerà correggere alcune storture che rendono i Paesi membri vulnerabili alla speculazione. Occorrerà in primo luogo rivedere le norme europee che proibiscono alla Bce di ergersi a prestatore di ultima istanza dei governi. La Fed americana, la Bank of Japan o la Bank of England ci mostrano come lo scudo della Banca centrale sia fondamentale per rendere il debito pubblico sicuro, quindi appetibile, quindi a buon mercato. Occorrerà trovare un modo di consentire alla Bce di intervenire sui mercati in modo meno barocco di come, a causa dei vincoli posti dai trattati, ha dovuto fare fino ad ora (grazie all’abilità e all’audacia di Draghi). Il sacrosanto bisogno di evitare il comportamento opportunistico di governi irresponsabili non può essere soddisfatto rendendo tutti vulnerabili alla speculazione, e quindi incapaci di usare la politica di bilancio come qualunque altro governo.
Inoltre, la pressione dei mercati sui singoli Stati, e anche la loro possibilità di agire opportunisticamente, sarebbe di molto ridotta se la zona euro si dotasse di una capacità di bilancio propria, e della capacità di emettere debito. Il tema degli Eurobonds era finito nel dimenticatoio, affossato dall’ostilità di molti paesi tra cui la Germania; ma la crisi del coronavirus lo ha riportato prepotentemente d’attualità, al punto che nove governi (tra cui Francia, Spagna e Italia) ieri hanno richiesto a gran voce la creazione di Coronabonds. Sembra evidente che quando parla di reazione comune ad uno shock che colpisce tutti e per colpa di nessuno, l’editoriale di Draghi sia un velato endorsement di questa proposta