Centro Studi Corrado Rossitto di CIU Unionquadri: Applicazione della disciplina dell’impresa familiare anche al convivente di fatto.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 148 del 2024 del 25.07.2024 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 230-bis, terzo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede come familiare – oltre al coniuge, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo – anche il “convivente di fatto” e dunque come impresa familiare anche quella cui collabora anche lo stesso “convivente di fatto”.
Inoltre, in via consequenziale, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 230-ter del codice civile che riconosceva al convivente di fatto una tutela significativamente più ridotta.
L’art. 230–bis del codice civile, rubricato “Impresa familiare” riconosce una tutela specifica a tutti coloro che, legati da vincoli di parentela o di coniugio, partecipano al processo produttivo dell’impresa gestita dal capofamiglia; il rapporto rilevante è quello intercorrente tra un soggetto e un familiare imprenditore, allorquando il primo svolga un’attività di lavoro continuativa a favore del secondo, a cui viene riconosciuto un regime di tutela destinato ad operare solo laddove familiare e imprenditore non abbiano provveduto a disciplinare diversamente e in autonomia la prestazione di lavoro.
La Corte costituzionale dunque ha rilevato che in una società profondamente mutata, se rimangono le differenze di disciplina rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio, quando si tratta di diritti fondamentali, questi devono essere riconosciuti a tutti senza distinzioni.
Il diritto al lavoro ed alla giusta retribuzione è un diritto fondamentale che, nel contesto di un’impresa familiare, richiede uguale tutela, versando anche il convivente di fatto, come il coniuge, nella stessa situazione in cui la prestazione lavorativa deve essere protetta, rischiando altrimenti di essere inesorabilmente attratta nell’orbita del lavoro gratuito.
Di conseguenza, è stata ritenuta irragionevole la mancata inclusione del convivente di fatto nell’impresa familiare.