Nuovo Codice degli Appalti – Contrattazione Collettiva applicabile.
Le associazioni sindacali dotate di rappresentatività
Il precedente codice degli appalti, DLGS 50/2016 all’articolo (Principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appalti e concessioni), stabilisce al comma 4 dopo aver indicato i principi generali per l’affidamento degli appalti, come al personale impiegato nei lavori (servizi e forniture)) oggetto di appalti pubblici e concessioni debba essere applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente.
Il Nuovo Codice degli Appalti in vigore dal 1 luglio 2023, DLGS 36/2023 all’articolo 11, in maniera maggiormente estesa e dettagliata stabilisce che
- al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente.
- Nei bandi e negli inviti le stazioni appaltanti e gli enti concedenti indicano il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto o nella concessione, in conformità al comma 1.
- Gli operatori economici possono indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo da essi applicato, purché garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente.
- Nei casi di cui al comma 3, prima di procedere all’affidamento o all’aggiudicazione le stazioni appaltanti e gli enti concedenti acquisiscono la dichiarazione con la quale l’operatore economico individuato si impegna ad applicare il contratto collettivo nazionale e territoriale indicato nell’esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto per tutta la sua durata, ovvero la dichiarazione di equivalenza delle tutele. In quest’ultimo caso, la dichiarazione è anche verificata con le modalità di cui all’articolo 110.
- Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti assicurano, in tutti i casi, che le medesime tutele normative ed economiche siano garantite ai lavoratori in subappalto.
Come dato a vedere, la nuova normativa pur stabilendo il medesimo obbligo, stabilisce a completamento una serie di oneri e di adempimenti per gli adempimenti della procedura.
In tal modo il contratto collettivo applicato deve essere indicato nei bandi e negli inviti delle stazioni appaltanti individuato nel contratto stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
La dichiarazione di voler partecipare alla gara d’appalto deve inoltre contenere l’indicazione del contratto collettivo applicato.
La nuova normativa nel tentativo di non contraddire il principio di libertà sindacale di cui all’articolo 39 della Costituzione, consente agli operatori economici di indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo applicato, a patto che quest’ultimo garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente.
Sul punto sarebbe interessante approfondire nella concreta applicazione della normativa cosa si intende per il requisito della medesima tutela.
Sicuramente dovranno intendersi i minimi retributivi che però non esauriscono il concetto di tutela.
In punto retribuzione, va ricordato come già il DL 7.12.1989 n.389 stabilisca l’ammontare della retribuzione imponibile ai fini dell’accreditamento della contribuzione.
L’articolo 1 del menzionato DL stabilisce come la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non possa essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto.
Il concetto di maggiore rappresentatività (vedasi Ordine dei Consulenti del Lavoro, Consiglio Provinciale di Napoli XVIII Master in Diritto Del Lavoro, Dal Diritto Pandemico a quello della Ripartenza. Il PNRR. Le Proposte dei Consulenti del Lavoro, mercoledì 3 novembre 2021 WEBINAR – La maggiore rappresentatività comparata: L’incompiuta la distinzione tra sindacato maggiormente rappresentativo e comparativamente – Avvocato Raffaele Riccardi).
Sul punto, in merito alla differenziazione tra sindacato maggiormente rappresentativo e comparativamente più rappresentativo, il primo criterio fa riferimento ad un sindacato che possa in termini assoluti considerarsi maggiormente rappresentativo a seguito di una verifica in termini assoluti e di fatto, il secondo invece accenna ad una selezione ed a una comparazione tra i sindacati.
Il concetto di maggiore rappresentatività espresso dall’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori ha subito importanti evoluzioni.
Con il referendum del 1995 l’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori perdeva il riferimento generale alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Restava esclusivamente il riferimento a tutte le confederazioni che, seppure non affiliate alle predette confederazioni, fossero firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali applicati nell’unità produttiva.
Il predetto referendum del 1995 abrogava inoltre in tale riferimento anche le parole “nazionali o provinciali”: In tal modo, anche la sottoscrizione di un contratto aziendale era idoneo a conferire la rappresentatività al sindacato.
Quindi, la Corte Costituzionale con la sentenza 231/2013, dichiarava l’illegittimità sindacale della residua parte dell’articolo 19 della legge 300/70 nella parte in cui non prevedeva che la rappresentatività spettasse pure alle organizzazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, avessero comunque partecipato alla negoziazione degli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda, pur non avendoli poi sottoscritti.
Il DM 15 luglio 2014 n.14280 ter in tema di composizione della Commissione Consultiva Permanente per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro ha individuato sulla scorta degli orientamenti giurisprudenziali i criteri per la valutazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali e datoriali, nei seguenti termini:
- Consistenza numerica degli associati;
- Ampiezza e diffusione sul territorio nazionale;
- Partecipazione alla formazione ed alla stipulazione del contratto collettivo di lavoro;
- Intervento dell’organizzazione nelle controversie di lavoro, individuali, plurime e collettive.
Mediante l’introduzione del codice alfanumerico unico attribuito dal CNEL a ciascun CCNL depositato possono essere dedotti i dati concernenti la diffusione dell’organizzazione sindacale nel territorio ed il numero e la tipologia dei contratti sottoscritti.
Fabio Petracci