Non valida la conciliazione sindacale sottoscritta presso i locali aziendali.
La Corte di Cassazione, con la recentissima pronuncia n. 9286/2025 del 08/04/2025, prende posizione in merito alla sottoscrizione di un verbale di conciliazione in sede sindacale da parte di un lavoratore e della società datrice di lavoro, in presenza di rappresentante sindacale di una sigla cui il lavoratore non era iscritto e presso la sede dell’azienda stessa.
La Suprema Corte ricorda come in tema di conciliazione in sede sindacale, ai fini dell’inoppugnabilità delle rinunce e delle transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, è necessario che l’accordo sia stato raggiunto con un’assistenza sindacale effettiva, tale da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura.
La sottoscrizione del verbale di conciliazione presso la sede di un sindacato non costituisce un requisito formale, ma funzionale, in quanto volto ad assicurare che la volontà del lavoratore sia espressa in modo genuino e non coartato. La stipula del verbale in una sede diversa non produce di per sé effetto invalidante sulla transazione nel caso in cui il datore di lavoro sia in grado di provare che il dipendente ha avuto, grazie all’effettiva assistenza sindacale, piena consapevolezza delle dichiarazioni negoziali sottoscritte.
L’effettività dell’assistenza sindacale è dunque la caratteristica centrale dell’accertamento della genuinità della volontà del lavoratore ai fini dell’inoppugnabilità della conciliazione. Ne consegue che la sede di stipula e di sottoscrizione dell’accordo non possono essere considerati requisiti neutri (così come l’affiliazione o meno al sindacato di iscrizione, o comunque di fiducia e scelta del lavoratore, del rappresentante sindacale che fornisca assistenza nella procedura), ma concorrono alla funzionalità delle forme prescritte in relazione alla suddetta effettività.
In materia infatti la legge ritiene necessaria una forma peculiare di protezione del lavoratore, realizzata attraverso la previsione dell’invalidità delle rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti inderogabili e l’introduzione di un termine di decadenza pari a sei mesi per l’impugnativa, così da riservare al lavoratore la possibilità di riflettere sulla convenienza dell’atto compiuto e di ricevere consigli e assistenza al riguardo.
La predetta specifica forma di protezione giuridica non è necessaria (art. 2113, ultimo comma, c.c.) in presenza di adeguate garanzie costituite dall’intervento di organi pubblici qualificati, operanti all’interno delle sedi cd. protette, quali la sede giudiziale (artt. 185 e 420 c.p.c.), le Commissioni di conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro, ora Ispettorato Territoriale del Lavoro (art. 410 e 411, commi 1 e 2, comma c.p.c.), le sedi sindacali (art. 411, comma 3, c.p.c.), oltre ai collegi di conciliazione e arbitrato (art. 412 ter e quater, c.p.c.).
Ciò premesso, la Cassazione intende dare continuità ai principi già affermati (pronuncia n. 10065/2024), secondo cui la conciliazione in sede sindacale non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest’ultima essere annoverata tra le sedi protette, mancando del carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente all’assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore.
Avv. Alberto Tarlao
CIU Unionquadri